Annotazioni sul (e attorno al) libro del Prof. Silvio Bolognini «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus)

- di Marina Palmieri

 

 

Punto 01)  >>>

L’interrogativo attorno al paradigma di una relazionalità ‘web-mediata’.

 

Punto 02)  >>>

Il “qui e ora”. La dittatura del clic. L’effetto disgregazione.

 

Punto 03)  >>>

Esistenza “tecnomediata” e problematicità del processo conoscitivo. Le declinazioni dell’empowerment digitale.

 

Punto 04)  >>>

Alla ricerca del sentimento (e del diritto) dell’“Esser-ci nel mondo”.

Le strategie educative. 

Oltre le etichettature paradigmatiche.

 

Punto 05)  >>>

L’intelligenza morale. Nuove prospettive etiche nei programmi educativi.

Una svolta di pensiero contro il Moral Disengagement (e contro cyberbullismo / cyberviolenza).

 

Punto 06)  >>>

Rilevare il disagio e gli stati di rischio da violenze web-mediate:  l'importanza della Metodologia dei Monitoraggi. 

Risposte a formulazione libera.  Problemi di condizionamento nelle risposte.

 

Punto 07)  >>>

≈ La centralità della dimensione della morale nell’educazione. «L'“educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche» (S. Bolognini)

≈ La prolusione del Cardinal Gianfranco Ravasi rivolta ai seminaristi dell’Istituto Superiore di Teologia di Évora (Portogallo).

≈ Il web al vaglio del discernimento e della scelta. || «vagliate ogni “cosa” e tenete ciò che è bello/buono (kalòn)”» (1 Tess5, 21).

 

Punto 08)  >>>

● Le narrazioni, spesso inadeguate e sbrigative, sul vissuto di sofferenza delle giovani cybervittime.

● Una diversa lettura del "male oscuro":  «Il superamento della depressione. La lezione di Qohelet». Spunti anche per il mondo giovanile dei 'social'.

La crisi profonda sul senso del vivere: nel singolo e, da sempre, nella storia.

 

Punto 09)  >>>

2019: Nuove azioni “sul campo” per un uso responsabile del web.

Questioni etiche e legali, sollevate da istituzioni parlamentari e da enti governativi a tutela dei minori.

Le iniziative di Unitremilano su IA e la Lezione Magistrale su "Intelligenza Artificiale tra Mito e Realtà". “Quando la tecnologia demarca il confine tra utopia e distopia”.

E inoltre: (prove di) fluidificazione della resilienza umanistica.

 

Punto 10)  >>>

Tendenze suicidarie giovanili: dati raddoppiati nel corso di un anno. Il monitoraggio dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza.

L'intenzionalità meditata, le web-sette create da adulti e il fenomeno delle ‘chat suicide’ (‘Blue whale’ e non solo).

 

Punto 11)  >>>

Cyberbullismo ed esiti suicidari. Rispettare il vissuto dei vivi e il già vissuto dei morti.

Rispettare il pudore, anche nelle narrazioni.

 

Punto 12)  >>>

Su Normazione e Configurabilità del reato || Cyberbullying e violazione di norme penali. || Cyberbullying e illecito civile.

Cyberbullismo, Cyberharrassment e dintorni: quando nel sadismo sul web confluiscono le caratteristiche dello “Stalking sadico”.

Focus sul "criterio di selezione" da parte del persecutore (riferimento: strumento S.I.L.VI.A., 'Stalking Inventory List per Vittime e Autori').

 

Punto 13)  >>>

Il gioco al massacro, tra i giovani cybernauti, delle interpretazioni sulle intenzioni autolesionistiche.

E nelle ricostruzioni dei casi di web-vessazione risoltisi in suicidio: il dilemma del “riconducibile” o del “non riconducibile”.

 

Punto 14)  >>>

Il cyberbullismo e l’innesco a fine-zero.

Induzione alla depressione e al suicidio. Integrazione delle due varianti del bullismo.

 

Punto 15)  >>>

Se il “cyber” può far male – e molto – alla salute. I cyber-danni e i giovani di oggi.

Pressioni smart-tecnologiche e (quale) sostenibilità della fisiologia umana.

 

Punto 16)  >>>

Discrepanze tra mondi paralleli: il web, la scuola, la televisione.

La “crisi” dei giovani (cybernauti) e l’effetto di traino del ‘trash’ in tv. Il bullismo fra adulti, la sua spettacolarizzazione mediatica e il suo lavorìo nel mondo del web. (con proposta di trattazione comparata)

 

 

 

 

Note sull’Autore de «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus):

SILVIO BOLOGNINI Prof. Straordinario - Università e-Campus, cattedre "Teoria generale del diritto" e "Principi giuridici fondamentali, legislazione e programmazione dei servizi". Direttore CE.DI.S. - Centro Studi e Ricerche sulle politiche del diritto e sviluppo del sistema produttivo e dei diritti - Università e-Campus).

 

 

 

Punto 01)

L’interrogativo attorno al paradigma di una relazionalità ‘web-mediata’.

 

01-a) Tra i molti passaggi illuminanti dell’argomentazione svolta dal Professor Silvio Bolognini nel suo «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus) si rileva qui, in questo primo tassello di annotazioni, il passaggio che con evidente forza propositiva sospinge la coscienza del lettore a interrogarsi sulla presunta giustezza, sulla presunta convenienza, del paradigma della massmedialità (ambizione paradigmatica). L’interrogativo proposto è il seguente: è veramente giusto, oppure no, adeguarsi al paradigma imperante di una relazionalità 'web-mediata', 'cyber-mediata', e comunque di una relazionalità quasi programmaticamente dominata dalle logiche funzionali del mondo-internet (con particolare riguardo ai social-net, ma non soltanto)?

 

01-b) Il 'programmaticamente' sembra per di più evincersi anche da molti di quei piani, programmi, interventi (pure di carattere istituzionale; vedasi, a tale proposito, alla voce ‘Fonti istituzionali’ presente nella Bibliografia generale della citata pubblicazione del Prof. Bolognini) dichiaratamente formulati e messi a punto quali strumenti di contrasto ai fenomeni di violenza sul web. Ovvero: quei piani e programmi indicano sì delle linee di contrasto “al peggio del web” e tuttavia, nella loro formulazione generale, sembrano non mettere in discussione il fatto che gran parte della relazionalità umana passi oggigiorno attraverso il web stesso. A quando una riformulazione critica del suddetto paradigma della massmedialità? A quando un pensiero che si faccia capace di richiamarci all’importanza di un divenire autenticamente umanistico dell’essere, un pensiero che stia a ricordarci che lo sviluppo della intrinseca progettualità umana non può prescindere dalla dimensione etico-filosofica (e morale) del “Sé” e, precisamente, del “Sé in divenire”, e che dunque stia a ricordarci – quel pensiero – che la progettualità umana medesima debba essere messo al riparo dai dettami e dai condizionamenti della dimensione-web?

Ci sono molte parti, nel libro del Professor Bolognini, che pongono questo tipo di interrogativi, e, nello specifico del mondo giovanile e dell’educazione scolastica, sono le parti comprese nel capitolo «3.1. L'“educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche», p. 178 e segg., con particolare riguardo all’approccio SMSC – acronimo di Spiritual, Moral, Social and Cultural Education – di cui alle pagine 184-185 della stessa opera del Prof. Bolognini. Ulteriori annotazioni sulle parti del libro nelle quali viene illustrato, analizzato e commentato l’approccio SMSC sono, in questo testo di annotazioni, riportate più avanti al punto 0.5.

 

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Punto 02)

Il “qui e ora”. La dittatura del clic. L’effetto disgregazione.

Qui alcuni primi SPUNTI

Prima di procedere in ulteriori annotazioni sulla necessità di (ri)pensare il paradigma, ormai pervadente e anche oltremodo intrusivo, della relazionalità web-mediata, chi scrive ritiene opportuno annotare che qualsivoglia (ri)pensamento del paradigma della massmultimedialità non possa affatto prescindere non già e non solo dalla morale, e non già e non solo dall’etica, ma, più in senso lato, da un pensiero filosofico e, più in senso specifico, da un pensiero filosofico diacronico. È qui che entra in causa l’aspetto, fondamentale, del “Sé in divenire”, ove il divenire sia da mettere in rapporto (a) tanto alle varie fasi dello sviluppo del Sé nell’esistenza umana del singolo soggetto, (b) tanto ai flussi di pensiero delle parti di umanità che hanno ‘preceduto’ il soggetto stesso e (c) tanto a quei flussi in stato di germinazione che, prevedibilmente, saranno quelli del pensiero dell’umanità “che verrà” (ossia dell’umanità che si manifesterà su questa terra). === 02-A Questo aspetto della necessità di (tornare a) leggere la vita oltre il dato contingente e oltre i tempi contingenti pone, sempre a parere di chi scrive, l’urgenza di rapportarsi con viva forza di dialettica e, nel caso, anche di contrasto rispetto all’elemento della “simultaneità” che tanto caratterizza la personalità del mondo web. Una simultaneità di tipo disgregante, si aggiunge, poiché nel rendere una (pseudo)interpretazione del mondo come se nel prima e nel dopo del “qui ed ora” non vi fosse nulla, finisce con l’ingenerare negli intelletti meno cognitivamente attrezzati una sorta di pensiero sincronico che, per l’appunto, disgrega il senso del Sé: ovvero il senso del Sé per ciò che riguarda le possibilità evolutive dell’essere stesso, come pure il senso del Sé per ciò che riguarda le interazioni, fisiologicamente dinamiche, con l'ambiente socio-umano tutto, e dunque anche le interazioni con – in quello che è il corso della Storia – la stratificata dimensione mentale/intellettiva/filosofica. 02-B Alla (s)qualifica di ‘disgregante’, c’è nondimeno da aggiungere quella di ‘annichilente’, giacché quel meccanismo (solo apparentemente di funzionalità e di intento tecnico e tecnologico) di sincronizzazione che si ripropone attraverso ogni singolo clic – e attraverso modalità di simultaneità dei due sistemi binari in azione (ovvero il sistema binario che governa l’informazione in entrata/immissione, e il sistema binario che governa l’informazione in uscita/emissione) – ha molto a che fare anche con il progredire di atteggiamenti mentali, se non di costruzione di vere e proprie forme mentali, di tipo nichilistico. Come poc’anzi si ricordava: (è) «come se nel prima e nel dopo del “qui ed ora” non vi fosse nulla», ossia come se nel prima e nel dopo della dittatura del clic non vi fossero nient’altro che dei vuoti pneumatici (e qui, per associazione letteraria di idee, viene in mente anche quel meccanismo tanto bene espresso da George Orwell nel suo “1984”, laddove lo stesso autore nel narrare i princìpi ideologici e le pratiche del ‘Socing’ illustra le varie metodologie di distruzione del passato – scientifica distruzione di tutto quanto sia e sia stato il passato –, un tipo di pervicace distruzione attuata anche e molto attraverso l’imposizione di parole del Dizionario in ‘Neolingua’, contrapposte alle vietatissime parole della ‘Archeolingua’). 02-C E certamente, per chi altre capacità di lettura e di interpretazione voglia metterle in pratica e ne sia capace, le capacità di una lettura diversa dello stesso web esistono, così come di fatto esiste la possibilità di una lettura meno sincronica (e meno sincronicizzata dal sistema del web) e, per contro, più diacronica, e – pure – così come di fatto esiste la possibilità di inoltrarsi in piani di lettura/ricerca/interpretazione di tipo crossdisciplinare: ma non bisogna dimenticare che questi tipi di possibilità, queste opzioni di “andamento” di lettura e di ricerca, attualmente, attengono a metodi di uso necessariamente più lenti, più geometricamente articolati (capacità di astrazione logica del pensiero) e più a tenuta di capacità di mantenere ‘la rotta’ (della ricerca) che si sta seguendo. Invece, il meccanismo opposto, quello ordinario e di default, ossia il meccanismo di fatto imperante e “alla portata di tutti”, è e rimane assolutamente più facile, più veloce, e meno dispendioso anche in termini di impegno mentale e di impegno psicofisico a tutto tondo. Il rischio di ciò è il Nulla, dunque – in quest’era del “sincronizza tutto” e della (‘cyberfavola’ della) facile accessibilità –, o del poco e nulla attorno al ‘qui ed ora’, con conseguenti vuoti di pensiero, vuoti di riferimenti: è questa l’era del clic, della risposta facile e immediata, ove (altra aberrazione) sembra quasi che ad avere diritto di riconoscimento all’esistenza sia soltanto quello che si trova subito sul web. Come può un tale meccanismo di azzeramento dei tempi e di desertificazione del pensiero non avere effetti nefasti negli intelletti, come poco prima si diceva, meno cognitivamente attrezzati e nelle menti dei più giovani, nelle menti dei giovanissimi e dei più piccoli? === Per il momento, in queste righe, si lascia questa considerazione in forma di mero appunto, sebbene con il proposito di ritornarci in maniera più estesa. 02-D È in ogni caso più che opportuno mettere in evidenza quanto efficacemente indicativa (indicativa in relazione agli sviluppi argomentativi delle pagine interne) e quanto rilucente, vigorosa, affilata sia, nel titolo del citato libro del Professor Silvio Bolognini, quella parte di titolazione che in relazione al tema del cyberbullismo recita: «(..) volto demoniaco del potere digitale (..)». Un’indicazione, questa, che poi al lettore mostra subito la sua massa di bilanciamento, il suo contrappeso altrettanto indicativo, nel sigillo delle vicine note di chiusura della Prefazione dello stesso Prof. Bolognini, ovvero quelle note che ritroviamo alla quarta di copertina (e dunque a strettissima distanza dal titolo, a qualche frazione di secondo di rigiro del volume tra le mani) come pure ai primi fogli interni del libro e nelle quali trovano espressione «la valorizzazione dell’identità personale», «il recupero del senso morale», «il rispetto della legalità»:

 

«(..) L’induzione alla violenza (anche estrema) favorita dal web, la presenza di codici – all’interno della comunità virtuale – caratterizzati da consistente antigiuridicità, il ridimensionamento attualmente riscontrabile della distinzione tra identità reale e identità digitale, sollevano per altro problemi che possono essere fecondamente affrontati non solo identificando gli elementi di crescente criticità cui porta l’utilizzo massivo del web (soprattutto da parte delle giovani generazioni) ma anche impostando una politica del diritto che non tenda esclusivamente alla repressione diretta del fenomeno ma anche a promuovere le condizioni per cui la valorizzazione dell’identità personale, il recupero del senso morale ed il rispetto della legalità ne ridimensionano alle radici le possibilità di attecchire.»

Università e-Campus

CE.DI.S. – Centro Studi e Ricerche su

Politiche del Diritto e Sviluppo del Sistema Produttivo e dei Diritti

Il Direttore

(Prof. Silvio Bolognini)

 

[cfr.: pag. v e quarta di copertina de «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto», Silvio Bolognini; Giuffrè Editore, 2017]

 

 

 

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Punto 03)

Esistenza “tecnomediata” e problematicità del processo conoscitivo. Le declinazioni dell’empowerment digitale.

 

Tornando al tipo di attenzione, in molti degli attuali piani e programmi di contrasto ai fenomeni di violenza sul web (Ved. punto 01-b), che viene in varia misura riservata alla protezione di giovani e adolescenti, si ripropone in queste righe l’argomento di “quale pedagogia” sia oggi da discutere in rapporto ai modelli educativi e modelli di istruzione nei quali sembra invece essersi stabilizzata una gerarchia di modalità interattive all’apice della quale resta, pressoché indiscussa, la modalità web-mediata. == Verrebbe da dire: “piccoli cittadini crescono”, e la modalità per l’appunto privilegiata dei programmi di formazione dei piccoli sembra essere, ovvero sembra essersi attestata quale, la modalità della web-relazionalità, e con essa una modalità di lettura e di interpretazione dell’esistenza che debba necessariamente passare attraverso interazioni e modelli di socialità mediati dalla tecnologia (specialmente la tecnologia delle piattaforme, quelle dei social networks). (<< 03-A).

 

Scrive il Professor Silvio Bolognini nel già citato «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto», e precisamente in quei paragrafi delle ‘Premesse’ nei quali viene subito fatto il punto sulla problematicità del processo interrelazionale e conoscitivo mediato dal web e dalla tecnologia dei social nets:

«La disponibilità di contenuti digitali eterogenei facilmente estrapolabili, modificabili e ricomponibili amplifica le facoltà poietiche dell’individuo, mettendogli a disposizione uno strumento straordinario per gestire il processo creativo in ciascun ambito in cui la creatività trova espressione.

La fondamentale caratteristica umana su cui, tuttavia, il potere digitale maggiormente impatta, tanto da avere radicalmente mutato lo stile di vita di più generazioni (nativi e migranti digitali), è senza dubbio quella della socialità. (..)

A tale fenomeno è sotteso uno straordinario potenziamento delle possibilità di attivare contatti e relazioni, in una parola, di “socializzare”.

Lo stesso processo conoscitivo cui si è fatto rifermento sopra tende irreversibilmente a socializzarsi: si parla oggi di modelli di costruzione sociale della conoscenza, che utilizzano logiche reticolari atte a dare forma ad un sapere fluido e condiviso (..)

Complice la diffusione dei dispositivi mobili i social media sono diventati spazio, virtuale, privilegiato di costruzione di relazioni, rafforzate dalla massiccia e sistematica condivisione di opinioni, immagini e video che veicolano vissuti esperienziali quotidiani, cosicché la percezione degli altri, i rapporti umani e le stesse emozioni sono sempre più “tecnomediati”.

Emerge in questo contesto, sovrapponendosi all’identità personale e sociale del soggetto, un’identità digitale che si relaziona con altre identità digitali attrici di relazioni virtuali non più sottoposte ai vincoli dello spazio e del tempo. (..)»

(cfr. S.Bolognini, op.cit., pp.1-2)

Il meccanismo che dall’irretimento nella “socializzazione della conoscenza” porta l’utente – più o meno ignaro, più o meno consapevole – all’irretimento nella “socializzazione dell’esser (stato fatto) produttore/producer e consumatore/consumerè un altro dei punti forti delle analisi in premessa, nella citata pubblicazione del Prof. Silvio Bolognini. È un meccanismo di scivolamento da un tipo di identità digitale ad un altro tipo di identità digitale, con forme però che tendono a confondersi, a sovrapporsi (vedasi qui avanti il concetto e il neologismo di “prosumer”). È, ancora, un meccanismo “oliato” da fattori web-digitali che fungono da facilitatori-chiave.

 

Così l’Autore Prof. Bolognini su quelle dinamiche di declinazione dell’empowerment digitale, dinamiche che finiscono con il coinvolgere le dimensioni della produzione e del consumo, ovvero arrivano ad assorbire l’identità del soggetto già “web-socializzante” (e già “web-socializzato”) nelle, di lì a poco, identità di produttore e identità di consumatore:

«Gli aspetti richiamati di socializzazione della conoscenza, di presenza attiva, di riconoscibilità e identità dell’individuo nelle strutture reticolari dell’universo digitale generano un empowerment che si vorrebbe declinato anche in rapporto all’identità del soggetto come cittadino e come consumatore: sebbene, in quest’ultimo caso, il concetto e il neologismo “prosumer” (crasi dei termini inglese producer e consumer, che identifica la convergenza di due ruoli), coniato da Alvin Toffler (..), non nascano in rapporto alle nuove tecnologie per la comunicazione, è pur vero che il Web 2.0 si è posto come strumento chiave di potenziamento della creatività del consumatore (..)»

(cfr. S.Bolognini, op.cit., p.3)

Ma non è tutto in quei passaggi di scivolamento, e di assorbimento, da un’identità web ad un’altra identità web. Altrimenti detto: non è tutto in quelle declinazioni dell’empowerment digitale che creano, o caldeggiano la creazione di, nuovi ruoli (e nuovi assoggettamenti) “a intreccio” per il soggetto che abbia preso anche soltanto un po’ di confidenza con il web. Infatti, nelle esplicitate volontà del potere digitale, vi sarebbe – oltre all’identità del soggetto ‘social’ e virtualmente socializzato, oltre all’identità del soggetto web-producer e all’identità del soggetto web-consumer, senza dimenticare l’identità di prosumer – anche l’identità di web-smart-citizen, meglio nota con il termine di “smartcitizen”.

 

L’argomento qui sopra delineato, che ruota attorno all’aspetto tematico del facile assoggettamento dell’utente-web al meccanismo sospinto dalle varie declinazioni dell’empowerment digitale, non è facilmente proponibile al pubblico ‘comune’, pur essendo proprio il cosiddetto pubblico comune il destinatario del meccanismo stesso, un meccanismo di concatenamento di ruoli identitari, di funzioni identitarie. Non è facilmente proponibile soprattutto per due ordini di motivi: 1) si tratta di un meccanismo che si auto-impone all’utente, all’interno di un reticolo di sollecitazioni che vengono giostrate tra un’apparente innocuità propositiva e un’altrettanto apparente innocuità di pretese necessità del sistema tecnico-tecnologico (con messaggi più o meno di questo registro: “prova questo, prova quest’altro, è gratis e decidi tu il periodo di permanenza nel servizio”, e poi – anche qualora si scelga di uscire dal pannello contenente quel messaggio-tipo standardizzato – “ci spiace, ma non puoi continuare ad utilizzare le funzioni per le quali ti sei abilitato, se prima non fornisci il tuo assenso all’utilizzo (leggasi: da parte dell’utente stesso) delle nuove funzioni e all’utilizzo (leggasi: da parte della piattaforma) delle tue credenziali e dei tuoi dati personali”; 2) quello stesso meccanismo di concatenamento di ruoli e funzioni è capillarmente intriso di ammiccamenti, ricompense, promesse di tipo commerciale, il tutto all’insegna di una fidelizzazione sostanzialmente forzata, comunque non richiesta all’origine delle (spesso ignare, da parte dell’utente) movimentazioni di clic tra le pagine della piattaforma.

 

Alla fin fine, di fatto, l’utente-web passa con estrema facilità tra i vari passaggi di ruolo che vengono sospinti dai meccanismi sinuosi e ben tecnologicamente lubrificati delle piattaforme social, e, così, dal suo iniziale ruolo di base di utente-social passa a rivestire i vari ruoli di producer, quindi di consumer (sovente di cross-consumer, ossia consumatore di vari servizi integrati e spesso intrecciati, accavallati, tra loro), quindi di felice utilizzatore dei servizi “smart”, fino al ruolo (che vorrebbesi “da protagonista” e che così viene raffigurato all’interno della narrazione “nella corrente”, ossia della narrazione ‘mainstream’) di smartcitizen.

In ogni caso, anche se l’argomento di un siffatto meccanismo di scivolamento di ruoli web-mediati non è facile da rendere al vasto pubblico cd. ‘comune’ – e soprattutto non lo è, sempre a parere di chi scrive queste annotazioni, per i due ordini di motivi sopraesposti (<>) – l’argomento va posto, merita di essere posto, ugualmente anche e proprio sul piano delle comunicazioni di massa (‘di massa’ in termini di criterio metodologico mutuato dalle scienze statistiche, ovvero, qui in sintesi, di maggiore affollamento nella parte mediana della linea di continuità degli elementi/situazioni/fenomeni che siano presi in considerazione) per una questione di fondamentale rispetto dei diritti umano-civici, tutti, che anche sul web devono trovare cittadinanza e devono trovare tutela. Questa considerazione si presta in realtà anche a un’ulteriore considerazione che, in modo specifico, vada ad aprire spiragli e squarci nel “poco detto” – anche con riguardo alla rappresentazione mediatica e a mezzo stampa degli sviluppi del mondo web – del prevalente funzionamento del mondo dell’informazione e anche, in senso lato, della comunicazione, ma questa sponda argomentativa esula, al momento, dai temi specifici della presente serie di annotazioni e, in ogni caso, per essere avviata e scandagliata abbisognerebbe del supporto di precise discipline di analisi, quali quella della sociologia della comunicazione di massa e, soprattutto, della sociologia della ricerca sui mezzi di comunicazione di massa.

 

Torniamo ora “a bocce ferme” al punto della, così testualmente nel libro del Prof. Bolognini, «teorizzazione di una ricaduta positiva del “potere digitale” sull’individuo-cittadino» (cfr. p.4 op.cit.), per invitare il lettore a soffermarsi attentamente su alcune considerazioni particolarmente incisive – e che nella loro pregnante incisività rendono bene la cornice del problema che a quel punto inerisce – contenute sempre in ‘Premesse’ della citata pubblicazione della Collana CE.DI.S. / e-Campus:

«La teorizzazione di una ricaduta positiva del “potere digitale” sull’individuo-cittadino prende forma parallelamente a quella attinente all’individuo-consumatore, sebbene la dinamica attesa si prefiguri più lenta, implicando essa un confronto non con la realtà reattiva e liquida del mercato, bensì con le istituzioni e l’apparato burocratico. Tale ricaduta è ben rappresentata, ci pare, dal nuovo concetto, ancora una volta reso attraverso un neologismo, di “smartcitizen”: il cittadino intelligente tipicamente associato alla città intelligente, la “smart city”, che ambisce a caratterizzarsi, soprattutto nella più recente evoluzione del modello “human smart city”, proprio per la partecipazione attiva alla definizione delle politiche ed alla progettazione e produzione dei servizi su scala locale.

(..) Incremento delle capacità e potenzialità conoscitive, espressive e creative dell’individuo, amplificazione straordinaria delle possibilità di socializzazione, opportunità di incidere sulle dinamiche del mercato e rafforzamento del diritto di partecipazione (civic empowerment), con conseguente miglioramento della qualità della vita dei cittadini: in questi termini possiamo dunque provare a sintetizzare, senza alcuna pretesa di esaustività, le più elevate ambizioni del digitale inteso come “potere” a servizio del singolo, individuo, consumatore e cittadino.

Non entreremo in questa sede nel merito dell’effettivo inveramento di tali ambizioni in rapporto alla ridefinizione del ruolo del consumatore ed al presunto civic empowerment (..)»

(cfr. S.Bolognini, op.cit., pp.4-5)

Pur, per l’appunto e come spiegato in ‘Premesse’, non entrando l’Autore dell’opera (cfr. p.5 op.cit. e qui sopra) nel merito delle aspirazioni e dei propositi di quella ridefinizione di ruoli – «nel merito dell’effettivo inveramento di tali ambizioni in rapporto alla ridefinizione del ruolo del consumatore ed al presunto civic empowerment (..)» – né degli aspetti problematici dei processi conoscitivi, informativi e di omogeneizzazione culturale, qui pare di poter affermare che non soltanto, come già sopra accennato, la cornice del problema ma anche lo stesso quadro – interno, materico, sostanziale – del problema siano già resi efficacemente, a tutto beneficio del lettore che voglia realmente sapere e comprendere le dinamiche del web che più mettono a rischio l’integrità dell’individuo, individuo singolo e, nel contempo, individuo sociale.

Scrive il Professor Silvio Bolognini nei paragrafi in cui va sviluppando le premesse della sua analisi e della sua argomentazione attorno all’aspetto delle ‘ricadute del potere digitale’ (potere digitale con le sue ambizioni, i suoi propositi di modellamento delle esistenze umane):

«Si tratta in tutti i casi di dimensioni in cui, a parere dello scrivente, è possibile cogliere, pur nella luminosità abbagliante e seduttiva della “smartness”, pericolose zone d’ombra in cui fa capolino il volto demoniaco del digitale; un volto sotto certi profili già noto: le politiche del diritto (e le prescrizioni giuridiche/normazioni ad esse connesse) hanno preso posizione nei confronti di alcune modalità espressive negative del potere digitale, ad esempio laddove esso sembra favorire (o addirittura determinare) il manifestarsi nei fruitori di specifiche patologie (quali la c.d. internet-dipendenza e la ludopatia on line).»

(cfr. S.Bolognini, op.cit., pp.5-6)

 

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Un discorso circolare attorno ai paradigmi, ai nuovi modelli di architettura sociale. I tre libri del Prof. Bolognini.

|| Qui con digressione: bombardati da mattina a notte fonda da tutta una serie di messaggi, release e fervide anticipazioni sulle promesse del modello “smartness”, anche gli appartenenti alla categoria dei comunicatori e degli info-giornalisti faticavano da tempo (e in molti casi faticano tuttora) a capire bene il perché di quel modello e il perché quello stesso modello di smartness sia davvero così tanto necessario per i cittadini, anche per i cittadini meno edotti in fatto di culture informatiche, e così tanto “necessitato”. Si tratta di una fatica – quella di riuscire a capire bene – che è importante sciogliere e superare, poiché in gioco c’è l’importanza di comunicare decentemente e soprattutto di rispettare il destinatario della comunicazione (il lettore).

Ben vengano dunque pubblicazioni che anche sul tema di quei nuovi modelli di ‘architettura sociale’, quali per l’appunto sono oggi i proposti modelli di smartness e di “smartcitizenship”, intendano offrire un contributo prezioso in termini di conoscenza critica, di analisi stratificata, una conoscenza mutuata da impegnativi lavori di studio e di ricerca. Un vivo grazie, dunque, alle pagine dei libri del Prof. Silvio Bolognini che sono stati offerti di leggere: il libro su cyberbullismo e potere digitale qui in oggetto, «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto» per la Collana “Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus” di Giuffrè Editore, ma anche i (collegati, per diverse cifre tematiche) libri «Dalla "Smart City" alla "Human Smart City" e Oltre. Profili epistemologici e giuspolitici nello sviluppo del paradigma "smartness oriented» per la Collana Scienza giuridica e politiche del diritto di Giuffrè Editore e «Ontologia della condizione anziana e tutela dello specifico senile», per la Collana Metodologia delle Scienze Umane e Sociali di Armando Editore.

Di quest’ultima pubblicazione si ritiene possa essere utile anticipare qui, e in vista di successive ed estese annotazioni, il richiamo fatto dall’Autore Silvio Bolognini ai processi di una nuova generazione di Welfare all’insegna della “social innovation” e alla “ICT-enabled social innovation”; tale richiamo, di cui in particolare al Capitolo dedicato a «Esigenze ed ipotesi di superamento del Welfare State», trova come puntuale riferimento tematico il pure già qui citato «Dalla "Smart City" alla "Human Smart City" e Oltre. Profili epistemologici e giuspolitici nello sviluppo de paradigma "smartness oriented». E qui si ritiene anche utile sottolineare che la stessa pubblicazione «Dalla "Smart City" alla "Human Smart City" e Oltre.» è altresì in linea di continuità tematica, e anche in stretta aderenza tematica, con «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto», la pubblicazione che, fra le tre qui citate dello stesso Autore Silvio Bolognini, costituisce oggetto specifico delle presenti annotazioni.

La digressione or ora esposta, specie nella formulazione del suoi paragrafi iniziali con i quali si è cercato di trasmettere al lettore il senso di una non sempre facile, non sempre agevole, comprensione (non già meramente intellettiva ma) culturale a tutto tondo delle complesse valenze insite in alcune sfide concettuali dell’oggi – e segnatamente le sfide poste da alcuni impianti concettuali che, come già rilevato proprio a proposito del paradigma smartness/“smartcitizenship”, sembrano voler proporre nuove dimensioni di ‘architettura sociale’ (di ingegneria sociale, di costruzione del sociale) – ebbene, tale digressione ha anche dato modo, a chi scrive, di inoltrarsi in una sottolineatura della presenza di un discorso circolare che, così è sembrato di capire, anima gli andamenti argomentativi delle tre opere citate dell’Autore Bolognini.

Tempo trascorrerà ancora, prima che potrà dirsi realmente espletata la funzione di “ponte” comunicativo (per quel che riguarda l’impegno indegnamente profuso nelle annotazioni qui offerte in lettura, e in altre ancora che ci si propone di estendere) tra la sponda del vasto pubblico e l’ambito di alto livello accademico-scientifico, e di altrettanto alta missione (l’attività di ricerca pura e accademico-universitaria), del quale ambito è emanazione di pregio e prestigio eminenti la produzione di letteratura scientifica del Prof. Silvio Bolognini, qui con riferimento alle tre opere citate nelle quali è ravvisabile un potente cesellamento argomentativo, un cesellamento funzionale all’enucleazione dei significati più profondi dei temi trattati, le interrelazioni dei quali vengono di volta in volta portate alla luce con chiarimenti puntuali.

Tempo trascorrerà ancora perché, nell’era dell’attenzione intermittente, dell’indebolimento delle funzioni elaborative della memoria, prevedibilmente si farà più ardua la sedimentazione di pensiero su argomenti intrinsecamente complessi. Ardua la sedimentazione di pensiero fin quando (tempo non infinito, pena l’innesco di entropia e dunque di un’umanità che si rivolga verso/contro se stessa) durerà il diffuso scollamento tra, da una parte, le istanze morali-etiche più profonde dell’Essere e, dall’altra, una rappresentazione umana distratta, dimentica di sé, nell’universo del web. Ardua, con crescenti estese difficoltà di rapportarsi alla stessa estetica del pensiero. Rimangono però la ferma fede e la sicura speranza che quanto, intanto, sarà stato seminato di prezioso emergerà in tutta la freschezza del suo vigore: rinnovata linfa, anche a beneficio del vasto panorama umano.

 

 

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Punto 04)

 

Alla ricerca del sentimento (e del diritto) dell’“Esser-ci nel mondo”.

Le strategie educative.

Oltre le etichettature paradigmatiche.

 

 

04-A) Ora, in un’epoca come quella attuale che nella valutazione anche sociologica dei fenomeni umani sembra privilegiare l’aspetto della ‘misurazione’, e della misurazione in vista della pretesa ‘ottimizzazione’ dei processi che riguardano lo svolgimento di molte delle attività umane, non sembra azzardato affermare che, come si suol dire, ci sia molto da fare: non già e non solo sul piano quantitativo (in ordine alla produzione di altri programmi ancora, di altri piani ancora, etc.) e nemmeno soltanto sul piano quali/quantitativo (dove il primo termine del piano risulterebbe comunque condizionato dal secondo termine), ma soprattutto sul piano squisitamente qualitativo. Si discute di piani, di programmi, di sviluppo di nuovi servizi e, pressoché inevitabilmente, in quelle discussioni ci si fa supportare da dati d’indagine, da ricerche statistiche e simili – spesso senza spiegare sufficientemente il tipo di metodologia e ‘la cifra interna’ (significati, assunti, formulazioni e livelli di concordanza dei concetti) dei parametri metodologici che sono stati prescelti e adottati per addivenire a quei dati, a quelle ricerche.

Ma, sempre con riferimento ai nuovi modelli web/smart di ingegneria sociale, chi “pensa il pensiero”? Ovvero: “come pensare il pensiero e, ove pensabile, il modello di pensiero?”.

 

04-B) Entra qui, in primo piano, l’argomento della discussione sui paradigmi, ivi compreso – qui con un apparente giro di parole – l’argomento della non-discussione sui paradigmi, ossia l’argomento (auspicabile) sul “perché alcuni paradigmi non vengono adeguatamente discussi”.

 

04-C) Ed è qui che si impone una sosta. Una sosta per sottolineare che – da una parte – il non (e/o non adeguatamente discusso) paradigma del ‘web-based’ in ambito scolastico-educativo e – dall’altra parte – il non (e/o non adeguatamente discusso) paradigma del ‘web-based’ nell’ambito dei servizi alla cittadinanza sembrano costituire verosimilmente due fenomeni connessi. Ovvero due fenomeni, due aspetti, di una stessa linea di continuità.

Al centro di quella (non immaginifica ma) immaginabile linea di continuità tra i due fenomeni web-based, v’è una parte mediana, centrale, costituita da diffusa accettazione, non particolarmente ostile al modello web-paradigmatico dominante, né realmente appassionata (ad eccezione di alcuni fervori entusiastici dei neofiti) e neanche sempre realmente bisognosa delle prospettive offerte dal modello stesso. 04-D) Eppure, se l’accettazione quasi ‘gioco-forza’ di quel modello web-based e smartness-oriented è un dato di fatto ampiamente diffuso, non mancano voci scontente anche di gente c.d. ‘comune’, che mettono sotto accusa la pervasività anche quotidiana di quel modello (in alcuni casi, cori di voci scontente; cori che poi peraltro hanno la possibilità di confluire in ambiti associativi e similari, i quali a loro volta possono confluire in ambiti più strutturati, del tipo Osservatori e Centri di monitoraggio, e ciò con ulteriori possibili passaggi successivi – anche eventualmente in termini di ‘pressing’ sociopolitico e di lobbying – sino ai piani più alti delle decisioni politico-istituzionali. Al riguardo ved. anche ai punti 08-1-c) (>>), 09) (>> + >>) e 14-2) (>> + >>) del presente testo di annotazioni, per ciò che riguarda alcune recenti iniziative di carattere istituzionale, rispettivamente in ambito europeo e in ambito statunitense, di contrasto alle ‘Policy’ di piattaforme web).

 

Voci – ancora – che oltre all’elemento della pervasività del modello web-based e web/smart, lamentano anche il fatto che quello stesso modello – e dunque il mondo di internet e del cyber, della web/social/interattività a tutti i costi, della tecnologia ‘smart’ oltre modo intrusiva (intrusiva persino nelle funzioni più domestiche e negli ambiti più privati) – sia stato come imposto 'dalla mattina alla sera' o comunque in una manciata di anni, e sia stato dato per generalmente scontato, dato come assumibile da tutti e in tutto. Una delle testimonianze di quel tipo di lamentele è costituita per esempio dalle voci di vari utenti delle trasmissioni di emittenti radiofoniche anche pubbliche, ma altre testimonianze e altri esempi non mancano anche nella vita “più in diretta” (compresa la “vita in diretta” delle conferenze aperte al pubblico e centrate proprio sul tema degli sviluppi del web nella vita dei cittadini).

 

04-E) Considerazioni meno critiche, in genere, provengono dalla fascia dei giovani e degli adolescenti, anche se da parte di quest’ultimi (e come qui riportato più avanti con riferimento alla citata opera del Prof. S. Bolognini) non manca certo la percezione delle molte zone d’ombra insite in un modello di interattività e di socialità dominato dalle dinamiche del web. A tale riguardo si cita qui la raccolta di esperienze e di laboratori sul social networking confluite in una pubblicazione del 2014 dal titolo “Basta un clic”, autore Carlo Meneghetti, teologo della comunicazione e docente allo Iusve, Istituto universitario salesiano di Venezia, della quale raccolta viene riportato nel menzionato libro del Prof. S. Bolognini sul cyberbullismo (pp. 147-151, op.cit.). Da quella raccolta di esperienze e di laboratori emergono chiare consapevolezze da parte dei giovani. Scrive il Prof. Bolognini:

«(..) Il testo riporta le risposte fornite dai ragazzi: una quantità rilevante delle idee espresse tende, conformemente alle attese, a sottolineare le potenzialità positive di una socialità priva di vincoli spazio-temporali; altre tuttavia, di cui riportiamo di seguito qualche esempio, adombrano l’aspetto per certi versi demoniaco del digitale, richiamando concetti chiave in rapporto a quanto esposto sopra (..)»

(cfr. S.Bolognini, op.cit., p. 147)

Proprio riguardo alle interazioni con i giovani studenti nel suddetto contesto di laboratorio, si invitano qui i lettori a leggere nel libro di S.Bolognini (pp. 147-149, op.cit.) le batterie di risposte, in positivo e in negativo, fornite dai ragazzi, e classificate per fascia di età (studenti d’età 11-14 anni e studenti d’età 14-18 anni).

 

È doveroso ricordare che l’illustrazione fatta dal Prof. Bolognini dell’interessante metodo sperimentale di cui sopra (il metodo del ‘laboratorio’ a contatto diretto con i giovani studenti, e con risposte di questi a formulazione libera) rientra in una più ampia illustrazione e in una più ampia disamina delle strategie di prevenzione del disagio giovanile rilevabili in ambito scolastico contemplate nella direttiva ministeriale n. 16 del 2007: <<Il Ministro della Pubblica Istruzione, dir. N. 16 Oggetto: linee di indirizzo generali ed azioni a livello nazionale per la prevenzione e la lotta al bullismo, Roma, 5 febbraio 2007>>. Vedasi, a tale riguardo, anche i paragrafi dell’opera del Prof. Bolognini dedicati a quei contenuti della Direttiva che forniscono indicazioni su risorse e strumenti per, rispettivamente, Scuola dell’infanzia e scuola primaria, e Scuola secondaria di primo e secondo grado.

 

04-F) Quanto, ancora, al vissuto più immediato dei giovanissimi a stretto contatto con il mondo del web e dei social media, e quanto, più in particolare, a quei piani più sensibili e anche più nevralgici del rapporto ‘giovani vs web’ che spesso esprimono un turbolento desiderio di accettazione e di conferme esterne della propria identità, anche in termini di conferme del sentimento del "diritto di stare al mondo", il citato libro del Prof. Bolognini sul cyberbullismo dispiega al lettore una nutrita serie di situazioni e anche di case-studies afferenti ad un’altrettanto nutrita casistica tratta dal mondo più inquietante, più drammatico, del web: quella dell’autolesionismo giovanile, compreso l’autolesionismo spinto fino all’atto suicidario (di tipo “tradizionale” e più, perlomeno fino ad oggi, consueto, e quello “ritualizzato” per via cyber mediata).

 

Nell’analisi dei casi di autolesionismo giovanile cyber-indotto ed esitato in suicidio, l’Autore torna puntualmente a rappresentare sia l’elemento delle modalità interattive, sia l’elemento della morfologia del cyberbullismo. Più precisamente, il libro del Prof. Bolognini descrive e analizza i “Profili morfologici prioritari” del cyberbullismo (cfr. in particolare la ‘Parte I’ del libro, a pag. 11 e segg.) e, paragrafo dopo paragrafo, pagina dopo pagina, conduce a una chiara comprensione dei campi d’azione nei quali si esplica il fenomeno del cyberbullismo propriamente detto, come pure dei campi d’azione nei quali a volte i due aspetti del bullismo, quello tradizione e quello mediato dal cyberspazio, si alternano e/o si sovrappongono oppure, altre volte, si avviluppano e si autoperpetuano in una catena infinita di atti incresciosi.

 

«Il cyberbullismo mostra – tanto più nella sua fase di esordio – vari elementi di continuità con il bullismo tradizionale, ma nello stesso tempo presenta, nella variante base che stiamo prendendo qui in considerazione, caratteristiche sue peculiari: una modalità di aggressione che non prevede necessariamente una relazione “fisica diretta” fra il bullo e la vittima per cui – almeno nel momento iniziale – l’’aggressore non vede gli effetti del suo gesto sulla vittima. Da qui l’azione inibente del web rispetto all’innesco di meccanismi empatici che potrebbero limitare gli attacchi; la non necessaria ripetizione nel tempo degli atti aggressivi, stanti le caratteristiche della comunicazione in rete, per cui anche un solo episodio, divulgato e rimbalzato verso migliaia di utenti, di fatto sempre disponibile, può arrecare grave danno alla vittima; l’assunzione di un ruolo minimale da parte della forza fisica o del carisma del cyberbullo, dato che chiunque, senza particolari doti fisiche o di leadership, può compiere atti di cyberbullismo su un numero illimitato di vittime con semplici operazioni telematiche; l’estensione e la condivisione di responsabilità anche a chi “semplicemente” visiona un video (rendendosi sostanzialmente complice dell’aggressione con il proprio silenzio) o decide (imprudentemente o con esplicita complicità) di commentarlo o di condividerlo (like; commenta; condividi) con altri: da qui la decisa amplificazione della rilevanza sociale del fenomeno in rapporto al bullismo “tradizionale”, tendenzialmente caratterizzato da un numero relativamente limitato di bulli “gregari-seguaci”.

In buona sostanza, la differenza più rilevante fra il bullismo e il cyberbullismo è data dall’assenza dei confini spazio-temporali nel secondo rispetto al primo: il bullismo avviene di solito in luoghi e momenti specifici (spesso nel contesto scolastico); il cyberbullismo investe la vittima ogni volta che si collega allo strumento elettronico utilizzato dal cyberbullo.»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.13)

 

Ma perché mai – possiamo chiederci – gli effetti certo spiacevoli e negativi del cyberbullismo dovrebbero evolvere, nella vittima, in atti tragici, estremi, quali le varie forme di autolesionismo, il pensiero di suicido e il suicidio effettivamente agito? Questo genere di domanda ce lo poniamo un po’ tutti allorché apprendiamo di notizie di “ultimi atti” giovanili, atti tragici appunto, compiuti a causa di un cattivo vissuto sul web, e in specie sui social media. E allora si cerca anche di capire perché mai una cyber-relazionalità debba arrivare ad essere così pesantemente impattante, così devastante. Nel libro del Prof. Silvio Bolognini l’andamento progressivo degli effetti negativi cyber-indotti è illustrato molto chiaramente, con diversi passaggi in cui vengono esposti gli elementi di criticità quali in particolare: «dimensione dominante» della relazionalità tecno-mediata; «valenza totalizzante acquisita dalla dimensione digitale» e conseguente rischio di dipendenza, che in questo caso diventa dipendenza digitale; autopercezione; emotività e vulnerabilità particolari in rapporto agli eventuali ‘colpi’ inferti alla propria identità digitale attraverso le relazioni web-cyber («sperimentazione di feedbacks negativi dalla rete»; cfr. p.133).

 

«(..) Se dunque la relazionalità tecno-mediata si impone come dimensione dominante tanto da renderne la real-time identity sensibilmente dipendente, la sperimentazione di feedbacks negativi dalla rete è suscettibile di impattare in modo devastante sull’emotività e sull’autopercezione del soggetto generando reazioni – in un rapporto di proporzionalità diretta con la vulnerabilità dell’individuo – che possono essere anche estreme: ciò accade nel caso del cyberbullismo (suicidio della vittima), è accaduto nei casi di violenza riconducibile ad atti di ritorsione richiamati nelle pagine precedenti (omicidio per reazione ad una “offesa” subita) ed accadrebbe, verosimilmente, nel caso prefigurato in cui tali atti divenissero parte integrante delle dinamiche caratteristiche del cyberbullismo in una sua fase evoluta.»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.133)

 

04-G) Torna in quella serie di passaggi del libro che tanto efficacemente spiegano gli elementi di criticità delle interrelazioni-cyber e le dinamiche tra gli stessi elementi di criticità, torna puntualmente la rappresentazione di un’urgenza che percorre le pagine dell’intero libro e, più in particolare, torna l’indicazione dell’antidoto: un approccio non riduzionistico, un approccio nel quale rilevi non soltanto l’osservanza di un codice di comportamento on line ‘no-cyberbullismo’, ma anche e soprattutto una prospettiva che vada «verso una riappropriazione dell’”Esser-ci” (..) dell’essere dell’individuo in rapporto al mondo che lo circonda.» (cfr. p.133); «una prospettiva critica interna al modello dominante» (cfr. p.150, con riferimento ad alcune considerazioni dello stesso Autore S.B. su ricerche di tipo laboratorio) [vedasi altresì, nel presente documento, al punto 06-B >>]:

«(..) Analogamente osservazioni sulla relazionalità tecno-mediata, quali "i social sostituiscono il modo di relazionarsi, rapporti superficiali, non si vivono le relazioni vere, non ci sono emozioni, non si vedono in faccia le persone, sentirsi osservati, sentirsi giudicati..." dischiudono una prospettiva critica interna al modello dominante meritevole, ci sembra, di essere consapevolmente condivisa e sviluppata, non solo in relazione al percorso individuale di crescita di ciascuno studente, ma anche in chiave preventiva rispetto a fenomeni socialmente rilevanti in cui il tessuto relazionale della rete gioca un ruolo primario.».

(Silvio Bolognini, op.cit., p.150)

 

Per la trattazione estesa di tale approccio non riduzionistico e delle relative prospettive etico-educative (cfr. in particolare 'SMSC' - Spiritual, Moral, Social and Cultural Education - e 'Core Virtues Program' / ‘Core Virtues’) si rimanda il lettore alla Parte III del libro del Prof. Bolognini, intitolata ‘Lineamenti per un approccio non riduzionistico alle problematiche del cyberbullismo’ (p.169 e segg., op.cit.).

 

04-H) Quella stessa indicazione della «“riappropriazione” del proprio “Esserci nel mondo”», carica di forti valenze umanistiche, filosofiche, esistenziali (da leggersi anche alla luce di una questione dell’Essere riconducibile all’Ontologia dell’essere umano – cfr. p.134 e segg., op.cit.), si cala efficacemente anche nel campo dell’ampio dibattito sulle “pratiche” delle strategie educative, non senza tornare a sottolineare l’importanza dell’autonomia e dell’indipendenza del soggetto umano - quali che possano essere le pressioni e le pretese di invasività del web e dei nets - e per di più, proprio nello specifico delle strategie educative, auspicando iniziative che, così testualmente (cfr. p.161, op.cit.), «(..) ambiscano a non avere alcuna paradigmatica etichettatura».

 

04-I) È importate anche rilevare come in tali sottolineature delle scelte (di ‘quali’ scelte) di strategie educative rivolte a giovani e adolescenti l’Autore S.B. torni a fare in parallelo un richiamo diretto, vivido, al tema della necessità di un pensiero critico sull’altro ormai imperante paradigma sociale, ossia il paradigma dello ‘smartness, della city&community smart. Un paradigma, proprio quello della smart city anche nella sua evoluzione di “human smart city” (perlomeno così detta e così prefigurata nelle intenzioni sottese a tale locuzione), oggetto di un’altra pubblicazione dello stesso Autore Professor Silvio Bolognini, dal titolo: «DALLA "SMART CITY" ALLA "HUMAN SMART CITY" E OLTRE» _ «Profili epistemologici e giuspolitici nello sviluppo del paradigma "smartness oriented» - Giuffrè Editore, 2017, per la collana Scienza giuridica e politiche del diritto. 04­-L) Invitando il lettore di queste annotazioni anche alla lettura di tale pubblicazione, si sottolinea in queste righe un solido passaggio argomentativo che, a pag. 161 della citata opera del Professor Bolognini sul cyberbullismo, dapprima richiama l’attenzione sul crescendo dei rischi prospettabili dall’assenza di strategie di educazione che tendano a «promuovere una “riappropriazione” del proprio Esserci nel mondo» e che, a seguire, illustra il legame intercorrente tra – da una parte – il paradigma web-oriented e web-based di molte delle attuali progettualità delle strategie educative rivolte a giovani e adolescenti e – dall’altra – il paradigma smartness delle progettualità delle città&comunità dell’oggi e del futuro. Si invita qui, inoltre, a notare come nel passaggio dedicato a questo secondo ordine di considerazioni la scelta espressiva si affidi efficacemente a tre concetti-immagine, rappresentati consecutivamente da: catalizzazione della strategia educativa >> funzione (della stessa strategia educativa) quale palestra per logiche di sviluppo della city&community poste in chiave smart >> (ma) non-etichettatura paradigmatica delle logiche city&community medesime (logiche in chiave smart). Ecco qui di seguito i passaggi in questione:

 

«(..) Nello scenario delineato, in assenza di una strategia educativa tesa a promuovere una “riappropriazione” del proprio “Esserci nel mondo” (..) atta a riorientare il movimento fluido fra on line e real-time identity, è plausibile prospettare una progressiva esasperazione dello scivolamento delle identità create e validate dalla rete nel palcoscenico della società reale, con preoccupanti conseguenze – stante il crescente disimpegno morale che sembra caratterizzare le comunità virtuali laboratorio di auto-rappresentazione per le giovani generazioni – sulla diffusione di comportamenti anti-giuridici e sulla tenuta dello stesso ordinamento che disciplina la vita socialmente organizzata.

L’elemento incoraggiante è che non mancano in questo contesto spunti di riflessione provenienti dai giovani e adolescenti; spunti che, se utilizzati dal sistema della formazione (e non solo) in una prospettiva sperimentale-laboratoriale, nella cornice di una rinnovata progettualità “trasversale”, potrebbero fungere da catalizzatori della strategia educativa auspicata, la quale potrebbe configurarsi per altro come efficace palestra per quelle stesse logiche bottom up poste alla base, per lo meno nella teorizzazione del paradigma, dello sviluppo della city&community in chiave smart, ma che possono legittimamente e autenticamente ispirare anche iniziative socialmente orientate che ambiscano a non avere alcuna paradigmatica etichettatura. (..)»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.161)

 

Il testo qui sopra riportato della pagina 161 della pubblicazione scientifica del Professor Bolognini sui temi del cyberbullismo e del ‘potere digitale’ «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus) – illustra con sintetica forza  espressiva il quadro di diverse volontà non già in competizione frontale, quanto invece in competizione ‘fianco a fianco’ (come quella, appunto non frontale, degli atleti affiancati sulla linea di partenza – n.d.a.), nel quale spicca l’elemento dell’impulso progettuale giovanile in rapporto alla questione “paradigmi”.

 

Un quadro la composizione interna del quale rende bene la rappresentazione delle traiettorie in atto, laddove con sapienti cromatismi concettuali esprime tutta l’oscurità di quanto oscuro, torbido, è e continua ad esserlo, e che, altrettanto bene ed efficacemente, evidenzia in squarci di chiarore quanto oggi, fosse pure allo stato germinale, esprime tracce di una progettualità chiara, limpida – «L’elemento incoraggiante (..) gli spunti di riflessione provenienti dai giovani e adolescenti». Si segue, nella composizione di quel quadro, tutto il percorso discreto e deciso della figura principale, il proprio “Esserci nel mondo”: e lo si segue, quel percorso che inizia da una «assenza» (da, per converso, un disconoscimento), fin quando l’ineludibile necessità dell’Esserci rifà capolino oltre il tentativo d’agguato di un’altra cappa, di un’altra «paradigmatica etichettatura» (cfr. S.Bolognini), ri/avocando a sé tutto il naturale diritto di ri/abitare il mondo, e di ri/abitarlo con il proprio respiro autonomo.

 

È il moto di un’urgenza etica che torna a interrogare l’umanità che abbia perso l’orientamento e, forse, la stessa coscienza dell’orientamento.

 

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Punto 05)

 

L’intelligenza morale. Nuove prospettive etiche nei programmi educativi.

Una svolta di pensiero contro il Moral Disengagement (e contro cyberbullismo / cyberviolenza).

 

 

Come già evidenziato, il Professor Bolognini nel suo libro sul cyberbullismo si esprime molto chiaramente sui rischi che possono derivare dall’assenza di adeguate strategie educative: «(..) Nello scenario delineato, in assenza di una strategia educativa tesa a promuovere una “riappropriazione” del proprio “Esserci nel mondo” (..) atta a riorientare il movimento fluido fra on line e real-time identity, è plausibile prospettare una progressiva esasperazione dello scivolamento delle identità create e validate dalla rete (..)» (S.Bolognini, op.cit., p.161 - >>>). E torna più volte, l’Autore, a rimarcare nel libro quell’assenza, quel (far) “restare nello sfondo”, nei processi scolastici, le prospettive socio-educative di natura pedagogica, le dimensioni dell’etica, della morale, le azioni sui modelli socio-relazionali. L’argomento viene specificamente trattato nella Parte III del libro, intitolata ‘Lineamenti per un approccio non riduzionistico alle problematiche del cyberbullismo’ (p.169 e segg., op.cit.). Scrive il Prof. Bolognini in alcuni passaggi nei quali torna a sottolineare l’importanza di addivenire ad azioni sistemiche per la prevenzione del fenomeno del cyberbullismo:

 

«(..) In questa prospettiva azioni dirette di contrasto al cyberbullismo sono da accogliere positivamente soprattutto in ragione degli strumenti messi a disposizione delle vittime – auspicabilmente atti ad arginare le conseguenze estreme del cyberbulling – e dei percorsi di recupero rivolti agli aggressori, il cui cambiamento indotto avrebbe verosimilmente l’effetto di disinnescare anche l’eventuale spirale della ritorsione.

Per quanto concerne tuttavia la prevenzione del fenomeno, e delle dinamiche evolutive prefigurate, una strategia mirata, tesa ad agire sul cyberbullismo quale deriva patologica della razionalità sociale tecno-mediata, rischia, ribadiamo ancora una volta, di non essere efficace se non supportata da una contestuale azione sistemica non solamente in quanto multi livellare e multi-stakeholder (quale è senz’altro l’azione perseguita dalle istituzioni), ma in quanto basata su un approccio non riduzionistico del fenomeno in oggetto. (..)»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.169-170)

«(..) Agire sul fenomeno per come esso si manifesta allo stato attuale, senza agire sui modelli sociali e socio-relazionali che ne determinano le dinamiche, preclude la possibilità di contrastare altre e ulteriori esasperazioni possibili dei medesimi modelli, già manifeste per quanto non (ancora) assurte alla rilevanza di fenomeno sociale.»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.171)

 

05-A) Nelle pagine successive della stessa Parte III del libro, l’analisi dell’Autore Professor Silvio Bolognini si inoltra nell’architettura programmatica del documento delle Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo, emanate dal MIUR nell’aprile 2015, propedeutiche alla successiva emanazione del Piano Nazionale per la prevenzione del bullismo e del cyberbullismo a scuola del 17 ottobre 2016. Nelle considerazioni su detto documento, e in particolare nelle considerazioni sull’incipit, ritroviamo quel “restare sottotraccia”, quel “restare sullo sfondo”, che effettivamente risulta essere lo stato attuale delle prospettive socio-educative nell’ambito delle strategie scolastiche rivolte alla prevenzione del fenomeno delle violenze web-mediate. Il problema di fondo – così pare evincersi dalle considerazioni dell’Autore Prof. Silvio Bolognini – è che non viene posto in discussione il modello dell’interattività web-tecnologica così come finora pensato e strutturato e sistematizzato, ossia non viene posta la questione di una rivisitazione critica di quel modello/paradigma web-based che (anche e) proprio nel mondo giovanile tanto informa di sé le dinamiche socio-relazionali, nella fattispecie quelle dei giovani-giovanissimi studenti. No, quel modello non viene posto in discussione e, per di più, quel modello medesimo viene presentato, nella costruzione nonché nella presentazione dello scenario sociale di riferimento, quale elemento-portante, ovvero quale elemento ormai strutturalmente “arruolato” nel teorema sotteso a quello scenario.

«(..) Il mutamento “sociale e tecnologico” è assunto come condizione, come elemento di scenario sul quale calibrare un’azione mirata ed efficace. (..) I processi educativi che connotano l’azione formativa dell’individuo istituzionalmente attribuita alla scuola restano sullo sfondo dell’operatività direttamente ascrivibile ai contenuti delle Linee Guida.»

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.177-178)

 

Torna, anche qui, l’argomento del paradigma non-rivisitato, non-discusso. Torna a riproporsi con vividezza l’argomento della discussione sui paradigmi, e, in specie, l’argomento della non adeguata attenzione al portato (al reale portato, oltre qualsivoglia teorema) del paradigma web-oriented e web-based di molte delle attuali strategie educative. Vedasi a tale proposito anche al punto 3) e al punto dedicato alla pagina 161 della pubblicazione del Prof. Bolognini.

In modo altrettanto vivido, sempre in tema dell’opportunità e della necessità di una rivisitazione critica del paradigma web-oriented e web-based, emerge nel libro di S.Bolognini sul cyberbullismo l’aspetto del sensibile scollamento, l’elemento del gap, del discostamento e dei vuoti, tra (a) il piano dei livelli di consapevolezza, (b) il piano delle indicazioni fornite dal mondo della ricerca delle scienze sociali e (c) il piano delle strategie educative effettivamente “sul campo”, effettivamente operanti. (05-B) Per ciò che concerne quest’ultime – le strategie educative – il rapporto privilegiato con il paradigma web-based esita in conseguenze decisamente preoccupanti, tra le principali delle quali si hanno quella del Moral Disengagement (spesso associato a indirizzi programmatici spiccatamente performance-oriented anche in ambito scolastico – cfr. S.Bolognini pp.179-180 op.cit., con riferimento al dibattito esteso al mondo anglosassone sul tema specifico dell’identità morale) e quella della «mancanza di empatia»:

 

«Se il moral disengagement diffuso nelle comunità in rete si conferma a livello internazionale fattore di rischio e catalizzatore delle dinamiche del bullismo evoluto nella sua variante cyber, la dimensione formativa attinente all’identità morale è suscettibile di porsi come strumento efficace di contrasto al dilagare, e all’evolvere, del fenomeno; da qui, ci sembra, l’interesse e l’attenzione che le riflessioni e le sperimentazioni in questo ambito dovrebbero intercettare nell’orizzonte di un approccio non riduzionistico al problema analizzato.

La relazione esistente fra disimpegno morale in adolescenza e la manifestazione di fenomeni di bullismo tradizionale è del resto, come noto, ampiamente testimoniata in letteratura (..)»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.189)

 

Proseguendo l’argomentazione sul tema della identità morale rapportato al tema della prevenzione dei fenomeni giovanili di violenze web-mediate, l’Autore Prof. Silvio Bolognini si sofferma su una selezione di approcci e programmi educativi focalizzati sulla formazione dell’individualità – con particolare riferimento agli aspetti virtuosi dell’intelligenza morale, dell’etica, della spiritualità (anima/soul), della ‘unità interiore’. Vedasi, su quest’ultimo punto, anche il richiamo al pensiero di Maritain: «(..) parafrasando il pensiero di Maritain, se gli alunni e gli studenti maturano una visione frammentata della realtà e della vita, se non riescono a conquistare una loro ‘unità interiore’ non avranno neppure dei criteri solidi per giudicare e valutare le multiformi e ‘caleidoscopiche’ suggestioni che la cultura e la società propongono loro” (37)» – cfr. pp.188-189 op.cit., in un passaggio di 3.1. L’”educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche, in cui l’Autore S.B. cita un passaggio tratto da una pubblicazione del 2011 a cura di Balestri F. e Mugnaini D. riferita a un progetto promosso dall’Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC) per l’Ufficio Scolastico Regionale della Toscana [Balestri, F. e Mugnaini, D., (a cura di), PERDONO Per Evolvere dalla Rabbia Distruttiva Ossia Non Odiare, MIUR-USR per la Toscana, in collaborazione con AIPPC Toscana, 2011, p.20 >

http://www.toscana.istruzione.it/novita/allegati/2011/luglio/PERDONO_volume_def.pdf].

 

Su tali approcci educativi, approcci che negli ultimi anni sono dunque stati messi in campo in Paesi del mondo anglosassone e anche in Italia, e che come già ricordato hanno come parte centrale lo sviluppo della formazione dell’individualità, dell’intelligenza etico-morale, dell’unità interiore – un insieme di “Core Virtues”, ovvero di tratti della personalità virtuosi (basati su virtù cardinali e virtù teologali) che definiscono un buon/retto atteggiamento morale, tratti centrali peraltro dello stesso Core Virtues Program di matrice cattolica – scrive il Professor Silvio Bolognini conchiudendo la suddetta parte del libro dedicata a L’“educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche:

«(..) ci sembrano dunque meritevoli di approfondimento anche le istanze e le esperienze provenienti dalla tradizione educativa cristiana e cattolica, in cui è centrale la dimensione della morale; una dimensione che, ponendosi tale tradizione alle fondamenta del pensiero, della cultura e della società occidentale, si presta facilmente ad una lettura laica ampiamente spendibile anche sul piano delle politiche programmatiche in tema di contrasto al cyberbullying

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.190-191)

 

___ Segue qui avanti con Box «Contro il disimpegno morale. Educazione e Etica. L’approccio educativo 'SMSC'

 

Box

 

Contro il disimpegno morale. Educazione e Etica. L’approccio educativo 'SMSC'.

Nel libro del Professor Silvio Bolognini «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus), e in particolare nei passaggi del libro che più direttamente chiamano il lettore a riflettere sull'importanza di un ri/pensamento critico del paradigma attuale del 'massmedialismo' nelle relazioni socio-umane (passaggi che peraltro mettono in relazione anche al tema dell’altro 'paradigma-gemello' rappresentato dalla «smartness», ossia il paradigma "smartness-oriented", che costituisce tema centrale di un'altra pubblicazione dello stesso Autore Silvio Bolognini: «DALLA "SMART CITY" ALLA "HUMAN SMART CITY" E OLTRE» «Profili epistemologici e giuspolitici nello sviluppo del paradigma "smartness oriented»; Giuffrè Editore, 2017, collana Scienza giuridica e politiche del diritto), possiamo notare che vengono riportate proposte educative e di formazione dell'individuo nelle quali si ritrovano concetti e temi di etica e di "intelligenza morale", di spiritualità, di anima (soul).

Il riferimento, qui, è in particolare a '3.1. L'"educazione morale" e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche', pagina 178 e seguenti della citata opera del Prof. Silvio Bolognini, e specialmente alle pagine 184-185 nelle quali viene rilevato l'approccio 'SMSC' - Spiritual, Moral, Social and Cultural Education (per l'indagine "Schools with a Soul" del centro inglese di ricerca RSA), e alle pagine 186-188 e pagina 189 nelle quali rispettivamente vengono illustrati il progetto 2011-2012 della AIPPC per le scuole toscane ‘Progetto PERDONO’ – in acronimo di "Per Evolvere dalla Rabbia Distruttiva Ossia Non Odiare" – e, nei paragrafi successivi, il 'Core Virtues Program'.

Il ‘Progetto PERDONO’, promosso dall’AIPP Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC) Sezione Toscana e realizzato in alcune scuole primarie della Toscana, include strategie di stress-coping basate sull'emozione e, nella sua fase direttamente operativa di prevenzione del fenomeno del bullismo/cyberbullismo, ossia quella fase di lavoro a contatto con i bambini delle scuole primarie, è basato sull’applicazione di studi che sono stati sviluppati nell'ambito dell'intelligenza emotiva e morale. «(..) Si tratta di “un percorso educativo per la promozione del superamento del rancore, già studiato negli Stati Uniti, in Irlanda e in Korea. I bambini vengono aiutati a riflettere e a lavorare nell’ambito dell’intelligenza emotiva e morale” » (http://www.aippc.net/articoli/progetto-perdono-nelle-scuole-toscane) (cfr. S.Bolognini, p.186, op.cit.).

Il 'Core Virtues Program' si basa sullo sviluppo di quei tratti della personalità virtuosi che definiscono un buon atteggiamento morale. Sperimentato inizialmente presso la Crossroads Academy, è fondato sulle virtù cardinali di giustizia, volontà, coraggio, temperanza e sulle virtù teologali di fede, speranza, amore. Nelle parole della fondatrice Mary Beth Klee, le ‘Core Virtues’ rappresentano principalmente degli “habits of the heart”, atteggiamenti/disposizioni del cuore (‘cuore’ nel senso di ‘parte più profonda dell’essere’ – nda), più che comandamenti, regole o norme di legge:  «Centered upon the four cardinal virtues of justice, wisdom, courage, and temperance as well as the three theological virtues of faith, hope, and love, this literature-based curriculum aims to capture the hearts and minds of our students (...). Core Virtues are habits of the heart rather than a set of commandments, rules, or laws.» (cfr. S.Bolognini, p.189, op.cit.).

 

 

 

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Punto 06)

 

Rilevare il disagio e gli stati di rischio da violenze web-mediate: l'importanza della Metodologia dei Monitoraggi.

Risposte a formulazione libera. Problemi di condizionamento nelle risposte.

 

 

Quanto alla metodologia delle ricerche "sul campo", campo che nella fattispecie della prevenzione di bullismo/cyberbullismo è in linea privilegiata quello della scuola, un rilievo particolare va al metodo sperimentale del ‘laboratorio’ a diretto contatto con gli studenti dai quali, e per via diretta, possono così essere raccolte le risposte ad una serie di domande inerenti la valutazione soggettiva dei social network. 06-A) Questo metodo sperimentale – sul campo e in presa diretta – viene illustrato in più pagine (pp. 147-151) del citato libro di S.Bolognini, precisamente laddove a pagina 147 viene fatta menzione di una pubblicazione del 2014 di Carlo Meneghetti, teologo della comunicazione nonché docente all'Istituto universitario salesiano di Venezia – Iusve, intitolata «Basta un clic», e, ancora, laddove nei paragrafi immediatamente successivi si passa a riportare testualmente la batteria di risposte che da parte dei ricercatori sono state raccolte direttamente dagli studenti (studenti di un istituto secondario di secondo grado) attorno alla domanda "cosa sono secondo te i social network?". È importante far presente che le risposte sono state espresse a "formulazione libera", ovvero che non è stato previamente sottoposto agli studenti da intervistare alcun formulario prestabilito di risposte possibili tra le quali scegliere la propria, come pure non è stato sottoposto agli stessi studenti alcun panel preordinato numericamente in ordine ad alcun assegnato tipo di risposta (scelte, l’una e l’altra, adottate al fine di evitare che in qualche modo si finisse con il condizionare o influenzare le stesse risposte degli studenti). La vividezza e la freschezza rappresentativa – 'nel bene e nel male', ovvero nelle valutazioni soggettive tanto di tipo positivo e tanto di tipo negativo – delle risposte degli studenti intervistati in quel contesto, risposte che vengono riportate in elenco nel libro di S.Bolognini (cfr. pp. 147-149), sono notevoli, rendono bene il senso complessivo di una palpabilità, quasi di una tattilità (mediata per via digitale e di digitalizzazione su tastiere nonché su schermi), di un'esperienza diretta con l'apparente immaterialità della web-tecnologia.

 

06-B) Ancora su quei passaggi della pubblicazione del Prof. Silvio Bolognini «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus) nei quali viene posto l’accento sull’’importanza della metodologia di monitoraggio in relazione al rilevamento degli eventuali segni di disagio giovanile sul web (soprattutto i segni di disagio da riferirsi agli aspetti più oscuri, vessatori e violenti del web stesso), viene dedicato qui un altro tassello di annotazioni ai risultati della ricerca di tipo laboratorio confluiti nella pubblicazione "Basta un clic" (anno di pubblicazione 2014) dell'autore e docente C. Meneghetti. Commenta il Prof. Silvio Bolognini a proposito della serie di risposte fornite e formulate liberamente dagli studenti nell’occasione di quella ricerca:

«Considerazioni, con riferimento al tema della comunicazione, attinenti ad esempio alla trasformazione del linguaggio, alla velocità del cambiamento, o la constatazione che il mondo ormai gira intorno ai social network forniscono indubbiamente spunti per una discussione di spessore significativo, soprattutto perché fondata nella percezione e nella narrazione dei ragazzi, spettatori e attori dell'evoluzione in corso. Analogamente osservazioni sulla relazionalità tecno-mediata, quali i social sostituiscono il modo di relazionarsi, rapporti superficiali, non si vivono le relazioni vere, non ci sono emozioni, non si vedono in faccia le persone, sentirsi osservati, sentirsi giudicati..." dischiudono una prospettiva critica interna al modello dominante meritevole, ci sembra, di essere consapevolmente condivisa e sviluppata, non solo in relazione al percorso individuale di crescita di ciascuno studente, ma anche in chiave preventiva rispetto a fenomeni socialmente rilevanti in cui il tessuto relazionale della rete gioca un ruolo primario.»

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.150-151)

 

Risalta, anche in quel contesto giovanile-scolastico, l’aspetto della «prospettiva critica interna al modello dominante», quale nello specifico, e come esplicitato dall’Autore S. Bolognini all’inizio del relativo paragrafo, quello della «relazionalità tecno-mediata» [«Analogamente osservazioni sulla relazionalità tecno-mediata (..)»].

 

06-C)  

Annotazioni a parte (123  //  Qui 1) su Metodologia di monitoraggio vs. qualità delle risposte dei giovani.

Ambito: scuola. – Oggetto: rapporti dei giovani con web e social network.

Riferimento di partenza: pp. 147-151, «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus) – Prof. Silvio Bolognini.

 

Fattori che risulterebbero favorire le risposte/narrazioni da parte dei giovani:

·         esperienza diretta fatta sul web da parte dei giovani (vissuto di esperienza in tutta la sua escalation di criticità, effettiva e/o percepita, da ordinario/sicuro a poco sicuro e pericoloso e oltre); – [n.b.: qui non si prende in considerazione l’elemento, pur auspicabile, della supervisione dei genitori-tutori; si rappresenta invece l’elemento dell’esperienza diretta, non-mediata da figure adulte con compito di, appunto, supervisione, controllo ed eventualmente guida);

·         non condizionamento (a) nella formulazione testuale delle risposte e/o nel preordinamento di set di risposte (come ad esempio in alcuni tipi di questionari); (b) nella fase di ‘presentazione’ – es. in classe, evenienza più frequente – della ricerca, da parte di figure di adulti e/o di figure altre che possano essere avvertite come ‘soverchianti’;

·         sentirsi "ascoltati" e rispettati anche in ordine alla fedele trasposizione delle risposte da fornite agli intervistatori e dunque agli adulti; condizione di fiducia, questa, favorita dal metodo del ‘laboratorio’ a diretto contatto (diretto e privilegiato) con gli studenti;

·         condizioni generali ambientali non pressanti e non manipolatorie.

 

06-D)

Annotazioni a parte (123  //  Qui 2) su Metodologia di monitoraggio vs. qualità delle risposte dei giovani.

Ambito: scuola. – Oggetto: rapporti dei giovani con web e social network.

Riferimento di partenza: pp. 147-151, «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus) – Prof. Silvio Bolognini.

 

·         Cosa favorisce il rivelamento effettivo dello stato emozionale e intellettivo dei giovani vs. web e specialmente vs. social network? Forse la (anche la) fiducia nell'intervistatore e/o ricercatore? Forse l'atmosfera sociale "più libera" e meno carica di pregiudizi, che in genere è quella delle grandi e/o grandi-medie città rispetto invece alle località più piccole?

·         Quanto influisce il (X) fattore dell’“anonimato di partenza" d’un giovane studente (M/F, maschio/femmina) “di città”, medio/grande città e comunque con tipicizzazione urbana, nel favorire risposte più vere o più verosimili [qui con differenziazioni interne a seconda che lo studente (M/F): (x1) risieda in una città e, anche, frequenti una scuola di città; (x2) risieda in una città e/ma frequenti una scuola non di città; (x3) non risieda in una città e/ma frequenti una scuola di città] e quanto invece influisce il (Y) fattore della "riconoscibilità di partenza" d’un giovane studente (M/F, maschio/femmina) “di provincia”, specie di piccola provincia e, ancora più di micro-provincia [anche qui con differenziazioni interne (specularmente diverse rispetto alle prime di cui al fattore “X) a seconda che lo studente (M/F): (y1) risieda in una piccola/micro-provincia e, anche, frequenti una scuola di piccola/micro-provincia; (y2) risieda in una piccola/micro-provincia e/ma frequenti una scuola non di piccola/micro-provincia (invece per es. una scuola di città); (y3) non risieda in una piccola/micro-provincia e/ma frequenti una scuola di piccola/micro-provincia] sul grado di libera formulazione delle risposte?

·         E le differenze, quelle differenze tra le risposte fornite nelle condizioni fattoriali rispettivamente (X) e (Y) di cui sopra, che si rivelassero significative quanto, effettivamente, vengono tenute in considerazione nel sistema complessivo, nazionale /o regionale, del monitoraggio del ‘disagio giovanile vs. il web’ e nelle politiche dei piani di prevenzione e tutela?

 

06-E)

Annotazioni a parte (123  //  Qui 3) su Metodologia di monitoraggio vs. qualità delle risposte dei giovani.

Ambito: scuola. – Oggetto: rapporti dei giovani con web e social network.

Riferimento di partenza: pp. 147-151, «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus) – Prof. Silvio Bolognini.

 

Altro aspetto che, a parere di chi scrive queste annotazioni, andrebbe maggiormente considerato, tanto nelle fasi di elaborazione dei monitoraggi, quanto nella rappresentazione dei monitoraggi stessi anche in vista dei piani da adottare, è la correlazione tra i livelli di "empowerment" M/F ossia maschio/femmina e i livelli di evoluzione socio-urbanistica dei diversi tipi di territorio, con polarizzazione <città (grande/media) – provincia (piccola/micro)> (vedasi, al riguardo, anche (X) e (Y) nei paragrafi immediatamente precedenti).

Domanda / spunto di riflessione = Una giovane/giovanissima che viva per ipotesi in un contesto familiare e di comunità di tipo arcaico nell’estremo entroterra dell’appennino italiano, tanto più se del centro-sud o sud d’Italia, e che, sempre per ipotesi, frequenti una scuola in una appena vicina località minore del tipo ‘microprovincia’, quanto realmente può sentirsi libera di “lanciare un messaggio”, di esprimere un’indicazione, che effettivamente possa riflettere il suo vissuto di, si ponga anche qui, disagio sul web, sulle chat, sui social networks?

E quanto le possibilità espressive di quella giovanissima, anche nell’ambito di una ricerca di laboratorio che nella sua scuola venisse avviata per il monitoraggio dei casi di disagio giovanile web-indotto, possono eguagliarsi alle possibilità espressive di una giovane/giovanissima che, invece, risieda e conduca la sua vita in una media/grande città, o comunque in un contesto a spiccata caratterizzazione urbano-evolutiva, e che frequenti un istituto scolastico che, pure, sia quello della media/grande città o comunque d’un contesto a spiccata caratterizzazione urbano-evolutiva?

Rileva, anche qui, l’aspetto della facile “riconoscibilità” – vedasi ancora, a tale proposito, «il (Y) fattore della "riconoscibilità di partenza"» di cui già sopra che, nella pratica del “difficile da dire” (un tema che notoriamente non attiene soltanto al fenomeno del cyberbullismo e del complesso delle violenze web-indotte ma, più in generale, al fenomeno della ‘violenza sul più debole’ vieppiù quando quello stesso fenomeno sia ‘racchiuso’ in contesti tipicamente arcaici, ma non soltanto, caratterizzati da spiccata omertà e dunque anche da corresponsabilità morale – oltre che giuridica – di vari membri della stessa comunità) si traduce anche in "additabilità di/in partenza".

 

 

Dunque: (datosi) contesto difficile, poco evoluto, arcaico >>> (datosi anche) un disagio da violenze web-mediate anch’esso difficile da dire >>> (datosi tuttavia) un giovane, tanto più se di genere femminile (particolare non trascurabile quanto il contesto sia già difficile e ancora più di tipo arcaico/tradizionale/omertoso), il quale in occasione di una ricerca di laboratorio scolastico provi a dispetto di tutto ad esprimere il suo problema di disagio web-indotto >>> il disagio viene dunque dapprima espresso a scuola (monitoraggio, intercettazione del problema), e/ma poi il fatto che quel disagio sia stato espresso e reso manifesto viene anche “risaputo” nella ristretta comunità, quella del già raffigurato contesto difficile >>>Chi è che ha manifestato quel disagio, a scuola?” – si chiede la comunità che però ha già subito gli elementi della risposta >>> Facile individuazione di chi ha manifestato il disagio, data la facile “riconoscibilità” della vittima, quella giovane vittima che ha lamentato gli episodi di web-persecuzione, gli episodi di cyberbullismo. >>> Facile riconoscibilità, additabilità,

 

 

 

 

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Punto 07)

 

≈ La centralità della dimensione della morale nell’educazione. «L'“educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche» (S. Bolognini)

 

≈ La prolusione del Cardinal Gianfranco Ravasi rivolta ai seminaristi dell’Istituto Superiore di Teologia di Évora (Portogallo).

 

≈ Il web al vaglio del discernimento e della scelta. || «vagliate ogni “cosa” e tenete ciò che è bello/buono (kalòn)”» (1 Tess5, 21).

 

 

07-I)

Nel libro del Professor Silvio Bolognini «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus), l’argomento della "prospettiva educativa basata sull'etica" svolge un ruolo fondamentale nella trattazione svolta dallo stesso Autore.

Nella direzione della "prospettiva educativa basata sull'etica" emerge il tema della identità morale, anche in funzione di nuove, auspicate, strategie di educazione e formazione che possano favorire un approccio di fondo al fenomeno del cyberbullismo e che, con la messa a punto di azioni sistemiche, possano contrastarne e prevenirne strutturalmente la sua evoluzione in “fenomeno sociale”.

 

«(..) È auspicabile che l’azione mirata, preventiva e di contrasto, sul tema del cyberbullismo possa favorire un percorso di riflessione che risalga a monte, giungendo ad approcciare le questioni di fondo, necessariamente complesse (..). Allo stato attuale, tuttavia, l’opzione resta sottotraccia nei richiami alla funzione educativa istituzionale della scuola rispetto alla formazione dell’individuo e del cittadino e con essa resta sottotraccia, come si è cercato di argomentare in questa nostra analisi, la possibilità di prevenire e contrastare strutturalmente l’evoluzione in “fenomeno sociale” di dinamiche web-based o web-enabled di cui già oggi sono individuabili gli indicatori e che potrebbero verosimilmente trovare proprio nei meccanismi del cyberbullying un pericoloso catalizzatore.»

 

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.178)

 

 

Nella Parte III «LINEAMENTI PER UN APPROCCIO NON RIDUZIONISTICO ALLE PROBLEMATICHE DEL CYBERBULLISMO» (p.169 e segg., op.cit.) della citata pubblicazione del Prof. Silvio Bolognini, e precisamente in «3.1. L’”educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche» (p.178 e segg., op.cit.) lo stesso tema dell’identità morale trova ampia esplicitazione, in particolare laddove l’Autore illustra e commenta gli approcci e programmi educativi basati sulla formazione dell’individualità, con particolare riferimento agli aspetti della ‘intelligenza morale’, dell’etica, della spiritualità (anima/soul), della ‘unità interiore’.

In uno dei passaggi nei quali il Professor Silvio Bolognini riporta (con indicazione dei relativi lavori bibliografici) d’un progetto promosso nel corso dell’anno 2011 dalla Associazione Italiana Psicologi e Psichiatri Cattolici (AIPPC) per l’Ufficio Scolastico Regionale della Toscana [http://www.toscana.istruzione.it/novita/allegati/2011/luglio/PERDONO_volume_def.pdf], l’aspetto dell‘unità interiore’ riferito all’educazione giovanile viene descritto anche con richiamo alla necessità d’una conquista, appunto di natura interiore, che consenta poi di rapportasi alla vita con criteri solidi; più precisamente, leggiamo a pp.188-189 e sempre in 3.1. L’”educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche:

 

«(..) parafrasando il pensiero di Maritain, se gli alunni e gli studenti maturano una visione frammentata della realtà e della vita, se non riescono a conquistare una loro ‘unità interiore’ non avranno neppure dei criteri solidi per giudicare e valutare le multiformi e ‘caleidoscopiche’ suggestioni che la cultura e la società propongono loro” (37)» (*)

  (Silvio Bolognini, op.cit., pp.188-189)

(*) La Nota (37) è riferita alle pp. 8-9 di: Balestri, F. e Mugnaini, D., (a cura di), PERDONO Per Evolvere dalla Rabbia Distruttiva Ossia Non Odiare, MIUR-USR per la Toscana, in collaborazione con AIPPC Toscana, 2011, p.20.

 

Per quanto riguarda la trattazione fatta dall’Autore circa i contenuti e l’articolazione dei programmi educativi basati sull’identità morale e sulla formazione dell’individualità, programmi che negli ultimi anni sono dunque avviati e realizzati in Paesi del mondo anglosassone e anche in Italia, si invita il lettore agli approfondimenti che in particolare riguardano l’approccio educativo SMSC Spiritual, Moral, Social and Cultural Education (cfr. pp. 184-185, op.cit.) e il ‘Core Virtues Program’ (cfr. p.189, op.cit.), programma educativo anch’esso di matrice cattolica e che verte sullo sviluppo di tratti della personalità virtuosi (“Core Virtues”, che si riferiscono a virtù cardinali e virtù teologali) che nel loro insieme definiscono l’identità morale.

 

Puntuale, da parte dell’Autore, la sottolineatura di un auspicato raccordo tra la "prospettiva educativa basata sull'etica" – prospettiva intrinseca a quei programmi di formazione scolastica basati sulla formazione dell’identità morale (dei quali qui poco sopra è stata fornita traccia con corrispondenti rimandi al libro dello stesso Autore Prof. Silvio Bolognini) – e gli strumenti di contrasto al cyberbullismo e ai suoi fattori di rischio, quali e principalmente il fattore di rischio del moral disengagement:

 

«Se il moral disengagement diffuso nelle comunità in rete si conferma a livello internazionale fattore di rischio e catalizzatore delle dinamiche del bullismo evoluto nella sua variante cyber, la dimensione formativa attinente all’identità morale è suscettibile di porsi come strumento efficace di contrasto al dilagare, e all’evolvere, del fenomeno; da qui, ci sembra, l’interesse e l’attenzione che le riflessioni e le sperimentazioni in questo ambito dovrebbero intercettare nell’orizzonte di un approccio non riduzionistico al problema analizzato.»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.189)

 

Prima di terminare questa parte di annotazioni su alcuni aspetti della "prospettiva educativa basata sull'etica" così come nella formulazione e nella trattazione del Prof. Silvio Bolognini nel suo «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO», è proprio a proposito del fattore di rischio del moral disengagement che si vuole qui richiamare l’attenzione del lettore ad alcune finestre descrittive dello stesso libro che si riferiscono, rispettivamente, a: ▪ il modello di misurazione del moral disengagement proposto da Bandura (cfr. pp.189-190) [per i riferimenti bibliografici di quest’autore vedasi anche in ‘Bibliografia generale’, ‘Testi e riviste scientifiche’, a p.214]; ▪ il modello di analisi MDBS, Moral Disengagement in Bullying Scale, degli autori Thornberg e Jungert (cfr. p.190) [riferimenti bibliografici anche in ‘Bibliografia generale’, a p.227], modello, questo, rapportato anche alla posizione dei ‘bystanders – gli astanti/spettatori – e alla variabile della basic moral sensitivity, cioè della sensibilità morale di tipo basilare.

 

Per quanto riguarda il modello di misurazione del moral disengagement messo a punto da Bandura e dalla sua équipe di ricerca (Bandura, Barbaranelli, Caprara e Pastorelli), al lettore non potrà certo sfuggire il carattere di aberrazione morale dei meccanismi in crescendo (in tutto otto meccanismi, quelli misurati nel modello di studio dei ricercatori) e che vanno dalla ‘giustificazione morale’ e dal successivo ‘etichettamento eufemistico’ dell’azione immorale fino alla ‘attribuzione di colpa alla vittima’ e alla ‘deumanizzazione della vittima’ (cfr. note a piè di pagina sempre a pp. 189-190 del libro del Prof. Bolognini).

 

Per quanto riguarda, invece, il modello di analisi del Moral Disengagement in Bullying Scale (MDBS) degli autori Thornberg e Jungert, si fa qui notare come tra gli elementi di definizione (riportata nel libro del Prof. Bolognini a pagina 190, direttamente dall’originale in inglese) della variabile della basic moral sensitivity (*) si abbia che il livello di, per l’appunto, ‘basilarità’ della sensibilità morale sia rinvenibile nella disponibilità a riconoscere le trasgressioni morali e le loro pericolose conseguenze verso gli altri.

(*) «”An individual’s readiness in morally simple situations to recognize moral transgressions and their harming consequences towards others, a sensitivity related to aroused moral emotions such as empathy, sympathy, or guilt”»

(cfr. p. 190, S.Bolognini, op.cit.).

 

 

Il capitolo dedicato a L’“educazione morale” e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche va concludendosi, nelle considerazioni sul fenomeno del moral disengagement espresse dal Professor Bolognini anche in riferimento alla relazionalità web-mediata, con la constatazione che «Gli studi più recenti, centrati sulla dimensione virtuale, sebbene meno numerosi, non fanno che confermare tali emergenze.» (cfr. p.190).

Chiude il capitolo il richiamo fatto dall’Autore a quelle istanze ed esperienze educative nelle quali la dimensione morale svolge un ruolo centrale, ruolo che può essere svolto anche in funzione delle politiche di contrasto al fenomeno del cyberbullismo:

 

«(..) ci sembrano dunque meritevoli di approfondimento anche le istanze e le esperienze provenienti dalla tradizione educativa cristiana e cattolica, in cui è centrale la dimensione della morale; una dimensione che, ponendosi tale tradizione alle fondamenta del pensiero, della cultura e della società occidentale, si presta facilmente ad una lettura laica ampiamente spendibile anche sul piano delle politiche programmatiche in tema di contrasto al cyberbullying

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.190-191)

 

::  ::  ::

 

07-II)

La questione della "prospettiva educativa basata sull'etica" chiama evidentemente in causa, perlomeno in Italia, l'altro diverso, opposto, indirizzo di pensiero (negazionista rispetto all'indirizzo di pensiero etico-morale, quand'anche questo sia compreso in un'ottica laica): quello che nega in assoluto l'esistenza dell'anima, che rigetta anche aprioristicamente qualsivoglia prospettiva educativa basata su etica, su virtù etiche e, ancora più, anche su virtù teologali. Si tratta per di più di un indirizzo di pensiero che si batte alacremente contro prospettive socio-educative d’impronta pedagogica e contro lo stesso concetto di ‘pedagogia’, giungendo persino a bollare, etichettare, quelle stesse prospettive nonché gli attori sociali che a vario titolo le promuovano con l'appellativo di "moralistiche" / "moralistici" (raffinata distorsione lessicale evidentemente ad uso di tentativi di ridicolizzazione e denigrazione della dimensione propriamente morale dell'essere e dei percorsi evolutivi dell'essere stesso, percorsi che – nella fattispecie che ci riguarda – sono i percorsi evolutivi che passano attraverso programmi educativi basati sulla centralità formativa della dimensione morale e sullo sviluppo delle virtù etico-morali).

 

In una posizione intermedia (ma solo apparentemente intermedia) c'è la posizione delle persone in quiete “stato di ricerca" (ricerca interiore), ovvero di coloro che, pur non essendosi in genere mai inoltrati in attive ricerche sul senso di Sé e del proprio divenire in una prospettiva di tipo precisamente etico ovvero etico-morale, non rifuggono affatto da proposte argomentative che, anche in materia di educazione e formazione dei giovani, includano "il discorso" sulle istanze etico-morali dell'essere.

 

È un discorso – quello, appunto, sulle istanze etico-morali dell'essere – necessariamente fra adulti (adulti, è sottinteso, che abbiano le capacità intellettivo-morali e nondimeno la volontà di affrontarlo quello stesso discorso), dunque fra persone che proprio in quanto adulte possono forse portare nei corrispondenti ambiti di dialogo e di confronto un loro contributo di idee anche sul problema dell’educazione e della formazione dei giovani (di oggi) e delle prossime future generazioni.

 

Si inserisce dunque qui l’accenno alla possibilità di un coinvolgimento, un coinvolgimento maggiore, delle persone / ‘people’ che, pur non essendosi ancora mai precisamente posto il discorso sulle ‘istanze etico-morali dell’essere’, però non lo rigettano a priori, anzi magari sono inclini a prenderlo in considerazione e ad accoglierlo nel loro proprio ‘menu’ di orientamenti valoriali e, nel caso, ad apportarvi il loro contributo.

Nella direzione di quel coinvolgimento va l’auspicio, che si formula qui, che i temi delle istanze etico-morali dell'essere e dei connessi elementi dell’identità morale e dell‘intelligenza morale’, anche in formulazione di pedagogia scolastica e di educazione dei giovani, possano trovare il loro crescente accoglimento anche presso la fascia ‘people’ adulta più sensibile e attenta, compresa la fascia – come nei paragrafi precedenti è stato detto e raffigurato – delle «persone in quiete “stato di ricerca"».

 

Quanto sopra implica anche l’auspicio che pubblicazioni che su quegli stessi temi sappiano esprimere contenuti di sostanziale importanza, e prospettive nonché proposte di utile prezioso interesse, riescano a far germogliare la loro impegnativa “semina” il più diffusamente possibile nel grande giardino dell’umanità e anche attraverso l’onda lunga del tempo in divenire. E, allora, anche al di là dei tempi contingenti, al di là degli attuali anni alquanto disorientati e anche alquanto avari in fatto di ‘centratura’ della questione etico-morale, risultati rigogliosi non potranno che provenire da opere che – come la prestigiosa opera di letteratura accademico-scientifica del Professor Silvio Bolognini «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto» (*) – racchiudono in se stesse tutto il senso di un grande impegno e di una grande mission umanistica.

(*)

Silvio Bolognini «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus).

 

Altrettanto prezioso e fecondo, sempre sul piano delle “interrogazioni forti” che – anche in fatto di “universo web-tecnologico”; cfr. paragrafi successivi - interpellano l’umanità e le sue (più o meno consapevoli, più o meno avvertite, a seconda dei casi) esigenze esistenziali più profonde, è quel filone di iniziative avviate negli ultimi anni un po’ in tutta Italia all’insegna del ‘Dialogo su Etica, Società e Fede’ e che si articolano in cicli di incontri ‘dal vivo’ (qui la specificazione è quasi d’obbligo in tempi come quelli odierni nei quali molti dei convegni e delle conferenze, e persino ormai molti dei seminari, hanno luogo per via telematica) a spiccata vocazione dialettica. Tra le iniziative più in tal senso improntate, si richiamano qui i percorsi di eventi tematici organizzati e realizzati dalla Fondazione Cortile dei Gentili (https://www.cortiledeigentili.com) di Milano [con Presidente della Consulta scientifica il Prof. Giuliano Amato].

 

Di quei percorsi e quegli eventi, che spesso vedono impegnata in primo piano la figura del Cardinal Gianfranco Ravasi (Presidente del Pontificio Consiglio della Cultura) come pure molte delle figure della Consulta scientifica della stessa Fondazione Cortile dei Gentili (figure e personalità tra le più attive sul piano degli studi, delle ricerche, nonché sul piano dell’interlocuzione nazionale e anche internazionale con altri attori socio-culturali), si rileva qui che tra i momenti di dialogo rilevatisi più proficui rientrano quelli tra – da una parte – una molteplicità di soggetti impegnati a vario titolo in progettualità socio-educative di ispirazione etico-morale, ma sul piano personale ispirati ad una valorialità ‘interiore’ in senso laicale, e – dall'altra – soggetti, figure, personalità il lavoro dei quali, spesso incentrato proprio su proposte educative, è diretta espressione della progettualità del mondo confessionale religioso.

 

Più nello specifico dei percorsi della Fondazione 'Cortile dei Gentili' tra quelli che più direttamente affrontano l’argomento delle sfide poste all'umanità dalle nuove tecnologie informatiche, si menziona qui il testo di una prolusione del Cardinal Gianfranco Ravasi rivolta ai seminaristi dell’Istituto Superiore di Teologia di Évora (Portogallo) e che ha tra i temi principali della riflessione i campi della 'intelligenza artificiale' e  delle reti cosiddette “social”, ossia dei social network. Il testo di detta prolusione (data: febbraio 2019) ha per titolo «Ravasi: due sfide poste alla fede nella cultura contemporanea» ed è disponibile sul web all'indirizzo https://www.cortiledeigentili.com/ravasi-due-sfide-poste-alla-fede-nella-cultura-contemporanea/. Se ne riportano qui di seguito alcuni passaggi:

 

«Il secondo percorso riguarda l’attuale comunicazione di massa che ha rivoluzionato il nostro stesso esistere, pensare e dialogare. Da un lato troviamo la comunicazione sociale, dove si conserva un’identità e una dialettica che permette di distinguere, nelle relazioni, l’aspetto reale e diretto. Questo permette l’emergere degli aspetti di bene e male, vero e falso, giusto e ingiusto, amore e odio e così via. All’opposto incontriamo il social, cioè la rete costituita da relazioni virtuali che fanno evaporare la realtà e mescolare le categorie. In molti casi, in essi, emergono soprattutto eccessi e sussulti anche se l’elemento sociale rimane strumento fondamentale di interconnessione relazionale. In questa prospettiva le fisionomie umane mutano e soprattutto muta la realtà stessa della “persona”. Infatti, nei vari aspetti della realtà virtuale, il termine persona paradossalmente ritorna al significato originario latino di maschera (es. in Facebook il nickname). Diversi filosofi cosiddetti “digitali” contemporanei hanno acutamente colto questo fenomeno giungendo alla conclusione che la rivoluzione informatica entra a far parte delle grandi svolte della storia e della scienza moderna. Questo prefigura una “nuova condizione umana” e un inedito modello antropologico nel quale Internet assume un ruolo preponderante».

E inoltre, sempre nella prolusione del Cardinal Gianfranco Ravasi rivolta ai seminaristi dell’Istituto Superiore di Teologia di Évora (Portogallo), febbraio 2019 [cfr. ‘Cortile dei Gentili > «Ravasi: due sfide poste alla fede nella cultura contemporanea» https://www.cortiledeigentili.com/ravasi-due-sfide-poste-alla-fede-nella-cultura-contemporanea/]:

 

«Emergono, tuttavia, i vizi comunicativi che sono al centro dell’infosfera, la quale ha ormai raggiunto un ruolo totalizzante. Anche al livello linguistico, le persone si ritrovano ad essere quasi inabili al dialogo, incapaci quasi di comprendersi, essendo divenuti vittime di una comunicazione malata spesso ferita dalla violenza, approssimativa e aggrappata a stereotipi, all’eccesso e alla volgarità e persino alla falsificazione. Si avverte, perciò, la necessità di una vera e propria campagna di ecologia linguistica capace di far tornare il “comunicare” alla sua autenticità – come la parola stessa di matrice latina indica cum-munus, cioè “dono” – e pertanto condivisione di valori, confidenze, contenuti e emozione. Altro fenomeno da segnalare, sempre riferito alla comunicazione del social, è la moltiplicazione esponenziale dei dati offerti che non permettono una capacità di vagliare selettivamente le informazioni con senso critico. L’orizzonte che si ha di fronte risulta perciò problematico e potrebbe favorire la tentazione dello scoraggiamento e della rassegnazione anche a livello religioso, ciò nella convinzione dell’inarrestabilità di un simile processo che sembra destinato a creare un nuovo standard umano. Tale atteggiamento di rifiuto va escluso, anche alla luce di scritti magisteriali, sia di Papa Giovanni Paolo II che riconosceva, nella enciclica Redemptoris Missio del 1990 che, ormai “è in corso una nuova cultura, nuovi modi di comunicare con nuovi messaggi, nuove tecniche e nuovi atteggiamenti psicologici”. Papa Francesco, nella Evangelii Gaudiumal n. 79, afferma d’altro canto che è, necessario integrare il messaggio cristiano in questa nuova cultura creata dalla comunicazione moderna. (..) Lo stesso Concilio Vaticano II, nei suoi documenti relativi alla comunicazione, afferma che gli strumenti della comunicazione sociale “contribuiscono mirabilmente a sollevare e ad arricchire lo spirito, a diffondere e consolidare il Regno di Dio” (Inter mirifica, 2). A fondamento di quanto affermato, c’è la convinzione che la rete sia un “dominio” dotato di grandi potenzialità spirituali che permetterebbero anche l’elaborazione di una grammatica comunicativa pastorale. Queste considerazioni devono sollecitare, non solo i “tecnici” della civiltà digitale, ma anche gli operatori ecclesiali nel costante confronto col profilo antropologico contemporaneo del nativo digitale e della nuova società social. Punto di riferimento per un processo di questo genere può essere tratto da un famoso motto paolino che dice “vagliate ogni “cosa” e tenete ciò che è bello /buono (kalòn)” (1 Tess5, 21).».

 

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Punto 08)

 

● Le narrazioni, spesso inadeguate e sbrigative, sul vissuto di sofferenza delle giovani cybervittime.

● Una diversa lettura del "male oscuro": «Il superamento della depressione. La lezione di Qohelet». Spunti anche per il mondo giovanile dei 'social'.

La crisi profonda sul senso del vivere: nel singolo e, da sempre, nella storia.

 

 

E adesso alcune annotazioni sullo stato di sofferenza morale-psicologica indotto da cyberbullismo e, in senso più onnicomprensivo, da cyber-violenza per come generalmente quello stesso stato di sofferenza viene usualmente narrato, qui con riferimento particolare tanto alla narrazione cronachistica (in specie dei titoloni di stampa, ma anche delle sommarie ricostruzioni del ‘giorno dopo’), quanto alla narrazione che sempre in ambito mediatico passa attraverso le news altisonanti di vari telegiornali e attraverso i vari talk show di tipo ‘criminalistico’ (di fatto, veri e propri spazi di intrattenimento più o meno morbosi e, spesse volte, con la presenza negli studi televisivi di psicologici, psichiatri e varie figure di esperti in materia di criminologia e di criminalistica).

 

Si ricorda che in queste righe il ‘tema principe’ è quello delle persecuzioni web-mediate a danno dei più giovani e degli adolescenti (e dei bambini), e soprattutto delle persecuzioni che vengono attuate nell’infosfera dei social networks. Si ricorda anche che il presente set di annotazioni si sta soffermando sugli approfondimenti argomentativi che, proprio in tema di cyberbullismo e di negative dinamiche del potere digitale, vengono esposti nella pubblicazione del Professor Silvio Bolognini «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto». Si ritiene, a questo punto, di introdurre nelle correnti annotazioni e accanto al tema specifico del ‘mondo del web’ ciò che più in stretto parallelismo si muove accanto proprio al mondo della rete-web, delle cyber-relazioni, dei ‘social’, ovvero l’universo televisivo. La televisione, com’è probabilmente già noto ai più, è il mezzo di comunicazione di massa più ancora seguito dal pubblico complessivamente considerato, più seguito anche per attingere al proprio menu quotidiano di notizie. Un po’ diversa sembrerebbe essere la situazione riguardante i giovanissimi, che risulterebbero sempre più orientati ad attingere notizie e informazioni direttamente dai social networks; è però anche vero che buona parte delle notizie veicolate attraverso i ‘social’ origina, in realtà, dalle principali notizie di media c.d. tradizionali, le quali vengono a loro volta riportate, ‘postate’, sui social, e, da qui, commentate, ricommentate e ‘bollinate’ dal vasto popolo degli cybernauti attraverso i clic dei like e dei condividi in un giro potenzialmente infinito. Ebbene, ciò che ora si intende proporre all’attenzione del lettore è la narrazione inadeguata, affrettata, che assai sovente viene fatta, in combinata di “tv + social”, e viceversa, sul vissuto di sofferenza delle vittime del cyberbullismo. Un vissuto che purtroppo si risolve, come già in tanti e troppi casi si è risolto, in fatti infausti, definitivamente infausti: il suicidio.

 

L’argomento di quel vissuto di sofferenza, argomento di una complessità intrinseca enorme e delicatissimo, viene non di rado liquidato riproponendo sulla scena dei talk-show (e di programmi sostanzialmente similari, di c.d. ‘info-trattenimento’) il banale e trito refrain dello “stato preesistente di una (non meglio identificata) depressione”, addivenendo così a conclusioni del tipo “la vittima era depressa, già viveva un suo stato di disagio”. Con la conseguente, e più o meno esplicitata, conclusione del seguente tenore-tipo: “l’atto del suicidio è stato manifestato sui social network, ma avrebbe potuto essere reso manifesto anche in altri modi”. Insomma, sembra quasi che l’esito infausto della violenza web-mediata subita dalla giovane vittima sia una “colpa” della vittima stessa (con implicita stigmatizzazione indotta dal sottoregistro: “se era depressa, perché è andata sui social-network? Perché non è uscita da quei social?”). Così, con buona pace di tutto il sistema/impianto web-based, e con buona pace anche di tutto il modello di ingegneria sociale basato sul modello dell’interconnessione web, modello che peraltro vede in strettissima e costante connessione l’impianto propriamente web e l’impianto (a forti introiti commerciali) delle smart-tv collegate per l’appunto alla rete-web, il caso viene superficialmente definito, pronto per essere archiviato nei meandri della coscienza collettiva.

 

Al che si propongono qui due ordini di riflessioni [ved. 08-1) e 08-2)]:

 

08-1) Perché in quegli spazi televisivi – spazi che, particolare importante, “rimbalzano” subito su web e social-nets – non vengono ospitate figure di esperti in materia di “etica del web”, oltre che in materia di dinamiche interattive del web?

La riflessione, in forma volutamente interrogativa, lascia spazio ad altri interrogativi, quali specialmente i seguenti che qui s’intende mettere in evidenza:

__ 08-1-a) A quando anche in tv e nei media ‘generalisti’ (e il riferimento alla tv è ancora, in particolare, ai cosiddetti talk-show e ai ‘salotti buoni’ dell’info-intrattenimento) un appropriato discorso sui fattori e/o cofattori scatenanti l'evento autolesionistico mediato dal web (in prima battuta) e dai massmedia ormai ‘smart-connessi’ H24 al web?

__ 08-1-b) A quando anche in tv e nei media ‘generalisti’ (tv sempre con particolare riferimento a talk-show e salotti dell’info-intrattenimento) un discorso che sia capace di evidenziare anche la depressione "a valle" (e dunque non già e non solo la depressione “a monte”) del fenomeno della interconnessione-web e delle vessazioni web-mediate? Ovvero a quando un discorso sugli stati di disagio e anche di angoscia che siano dovuti proprio alle dinamiche più vessatorie che circolano nelle piattaforme social del web?

__ 08-1-c) A quando anche in tv e nei media ‘generalisti’ (tv ancora con particolare riferimento a talk-show e info-intrattenimento), ivi compreso il mezzo “radio” che (peraltro in decisa ripresa di audience in questi ultimi dieci anni) trasmette ormai una quantità notevolissima di produzioni dedicate alle vantate meraviglie del web, dei social, delle interconnessioni smart, un discorso che punti l’attenzione anche sulle perversioni e degenerazioni delle forme mentali di chi il web lo governa, lo produce, lo indirizza? E magari anche un discorso franco, aperto, sulle forme mentali, sugli interessi, sulle policy di funzionamento dei grandi Providers che posseggono le piattaforme-web, le reti ‘social’ (per esempio un discorso che venga focalizzato sulle policy riguardanti la scelta e/o la non scelta di togliere subito i video violenti e aberranti dalle piattaforme dei Providers)? Sarebbe interessante, in questo senso, anche un discorso che fosse capace di inoltrarsi nell’atteggiamento psichico-mentale dei vari ‘big’ di quei Providers, ovvero capace di mettere in rilievo i tratti di personalità pubblica – perlomeno pubblica, agìta scientemente sulla collettività sociale degli utilizzatori di web e social – che vengono impressi nei funzionamenti operativi della ‘grande rete’. [Sul punto, giova intanto riportare la notizia – 20 Giugno 2019 – che alcuni enti governativi statunitensi a tutela dei minori avrebbero avviato delle azioni di contrasto anche di carattere legale nei confronti della piattaforma ‘Youtube’ in quanto, questa in sostanza la motivazione delle azioni di contrasto avviate da quegli enti, la stessa piattaforma risulta non aver finora tutelato adeguatamente i minori e, per di più, il medesimo ‘Youtube’ "avrebbe anche acquisito in maniera impropria i dati degli utenti".]

 

== Attualmente, questi tipi di interrogativi trovano risposte, e chiavi di risposta, nella letteratura specialistica accademica delle scienze sociali. Il link mancante è però quello di una divulgazione (e di una trattazione più asciutta, diretta) che, sempre con i fondamenti di analisi e di conoscenza riferibili a quella letteratura scientifica (metodologicamente critica nello sviluppo delle sue analisi e delle sue ricerche), “dica al pubblico ciò che c’è da dire”. Ossia che veicoli presso il pubblico “i fondamentali” dei meccanismi e delle dinamiche web, ivi compresa la spiegazione di quei meccanismi e di quelle dinamiche web/cyber che facilitano e/o amplificano le situazioni di male-essere, di male-stare, nel mondo.

 

Una divulgazione del genere suddetto dovrebbe/deve anche avere l’abilità di fronteggiare, sullo stesso piano web e multimediatico – e tanto nello specifico dei contenuti, quanto nella versatilità delle stesse modalità comunicative di volta in volta adottate –, le ben immaginabili reazioni di alcune parti del web. E nel mettere in pratica quelle abilità, dovrebbe/deve anche riuscire a disattivare l’altrettanto ben immaginabile obiezione-accusa (da parte di alcuni poteri digitali, nonché da parte dei loro messaggeri incantatori) della “dietrologia” e del “complottismo”.

 

Realismo, bisogno di capire e diritto di comprendere come muoversi, nel web, preservando la propria integrità umana: necessariamente questo “deve arrivare” all’utenza del web, soprattutto ai più giovani, agli adolescenti, ai giovanissimi, e arriverà se qualcuno cercherà di seminare bene e di continuare in quel lavoro di semina.

 

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Per l’estensione di queste annotazioni contrassegnate 08-1) (comprese nella parte iniziale del Punto 08), estensione laterale in cui, come più avanti si potrà constatare, ci si sofferma in particolare sulla responsabilità del sistema televisivo nella diffusione del fenomeno delle web-cyber vessazioni e del ‘trash’ nella grande rete, si invita alla lettura del Punto 16), dal titolo «Discrepanze tra mondi paralleli: il web, la scuola, la televisione. La “crisi” dei giovani (cybernauti) e l’effetto di traino del ‘trash’ in tv. Il bullismo fra adulti, la sua spettacolarizzazione mediatica e il suo lavorìo nel mondo del web.».

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08-2) In questo secondo ordine di riflessioni sulla narrazione di tipo più banale e superficiale, e più fuorviante, che spesso viene fatta della più o meno presunta, più o meno reale, depressione preesistente nelle giovani vittime – poi suicide – di cyber-vessazioni e cyber-violenze (un tipo di narrazione che, come già esposto nelle prime righe di questo set di annotazioni, serpeggia e tenta di imporsi non soltanto in prima battuta sul web, ma anche in molte trasmissioni di ‘media generalisti’, tv in testa con i suoi salotti di info-intrattenimento, ove per di più si consideri l’ormai continuativa “H24” connettività-smart di tali media con il mondo della rete), si dà una virata di prospettiva e si introduce, come spunto che può anche essere riferibile al mondo giovanile-adolescenziale dei 'social', la proposta di una diversa lettura del "male oscuro": «Il superamento della depressione. La lezione di Qohelet». Tale è una delle proposte che, illustrate ed esposte presso la Biblioteca Diocesana di Massa nell’Ottobre 2012, sono allo storico dell’iniziativa ‘Labirinti della mente - Incontri dedicati alle scienze della psiche’: «Una serie di incontri che riapre la stagione di eventi della Biblioteca Diocesana di Massa, dedicati alla psicologia, psicanalisi e alle affascinanti scienze della mente. Come sempre con un taglio divulgativo seppur di alto interesse scientifico.» – L’iniziativa, di cui si può leggere sul web al seguente indirizzo (pubblicazione della scrivente)

http://www.comunicarecome.it/_Labirinti-della-mente==Incontri-dedicati-alle-scienze-della-psiche==Presso_BibliotecaDiocesana_Massa.htm

e, per alcuni rimandi specifici, agli indirizzi dei links interni alla stessa, è stata parte integrante della rassegna ‘Ottobre Piovono Libri 2012.

 

Perché viene qui richiamata l’attenzione su detta prospettiva? Il perché ha a che fare con la constatazione di una sostanziale rimozione: la rimozione, nella coscienza, del fatto che l’interrogazione sul senso del vivere possa (possa ovviamente, possa naturalmente) comportare una crisi profonda dell’essere. Ed è così da sempre, nella storia del singolo e nella storia del divenire dell’umanità. È una prerogativa – quell’interrogarsi, quella “inquietudine” dell’interrogarsi – dell’essere umano in stato di progressiva elevazione, ovvero dell’essere umano che cerca di elevarsi dallo stato brutale (in senso dantesco, “fatti non foste per viver come bruti ..”), e dallo stato inerte, inanimato, di mera soddisfazione dei bisogni primari di sopravvivenza. L’essere umano che si interroga sul senso della vita è necessariamente un uomo/essere che attraversa la “selva oscura” di uno stato di crisi, e che decide di attraversarla, quella selva, già sulla spinta delle sue istanze del profondo, prima ancora che a livello meramente intellettivo. Crisi dunque come momento (stato, periodo) in cui matura la decisione di passare al vaglio le coordinate esistenziali della vita, come momento che favorisce il discernimento, la scelta. Scelta in questo casi di valori, alla luce dei quali interpretare il senso del vivere.

 

Perché allora nell’interpretazione comune, e per di più corroborata da una certa narrazione “nella corrente principale” (“mainstream”) che viene fatta anche nell’universo televisivo, accade che lo stato di crisi interiore, a volte anche di angoscia e comunque di scombussolamento, di molti giovani e/o giovanissimi cyber-utenti venga “bollato”, categorizzato, quale stato di “depressione”? Ma ancor di più: perché non insorgono voci (anche di “esperti” sì in materia di scienze della psiche e del comportamento, ma non necessariamente in linea con gli orientamenti psicologici, psicoanalitici, pedagogici più nel trend) a contrasto di quelle facili banalizzazioni narrative, a spiegare e sottolineare che, anche nei più giovani, uno stato di crisi va prioritariamente letto come sana domanda/ricerca sul senso del vivere, anziché interpretato (quello stesso “essere in crisi”) alla stregua di uno stato da ‘diagnosticare’ e da ‘medicalizzare’? Questo ha molto a che fare con (anche con) la superficialità con la quale si guarda – o, meglio, con la quale *non* si guarda, né si guarda adeguatamente – al fenomeno dell’autolesionismo giovanile, che a volte si estende a conseguenze estreme, indotto dal mondo cyber.

 

Continuando in questo giro un po’ largo sul tema della inadeguata risposta (se non quando mancante e mancata, quella risposta) da parte della società più web-based alla domanda del senso del vivere che nella persona umana può generare uno stato di crisi, una crisi profonda come quella che in modo diffuso sta oggigiorno interessando i giovanissimi e gli adolescenti in costante contatto col mondo del web e del cyber, e – ancora – avanzando passo dopo passo verso la proposta, anche in chiave filosofica, de ‘La lezione di Qohelet’ di cui alla già richiamata iniziativa “Labirinti della mente” promossa alcuni anni or sono dalla Biblioteca Diocesana di Massa (>>), si aggiunge qui che la sbrigativa rubricazione a ‘depressione’ (pertanto con assunzione di stato ‘medicalizzabile’) di quella condizione di diffusa crisi da “domanda di senso” ha molto a che fare anche con un approccio interpretativo menomativo. Ossia un approccio che tende a menomare la rappresentabilità della reale portata del fenomeno dei danni da cyberbullismo (dunque: diagnosi parziale di quel fenomeno socio-patologico; diagnosi parziale, non centrata, quindi inesatta) e che tenta di appiattire la spiegazione del fenomeno medesimo al campo delle mere evidenze (sintomi), finendo così col misconoscere e nascondere gli aspetti più centrali e più profondi dai quali quelle evidenze (sintomi) scaturiscono.

 

Torna, in tale continuità di approccio interpretativo di carattere menomativo, il problema della rimozione, della rimozione sociale. Ed è da alcuni decenni che è in opera quel genere di rimozione, che attraversa dunque più di una generazione e che sta molto “a monte” della piega “diabolica” – qui ancora con la terminologia del Prof. S.Bolognini e della sua opera «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto» – delle dinamiche della web/cyber sfera: in gioco c’è un pezzo di storia intergenerazionale “impolverata” dai calcinacci della destrutturazione valoriale, un’area di geografia umana che ha allentato e in molti casi anche perso le coordinate del proprio percorso nel mondo, del proprio percorso nel divenire della storia. Un’umanità che prova fastidio di fronte all’invito a parlare di anima, di spiritualità, oppure che, quando invece non se ne infastidisce, reagisce a quel tipo di sollecitazioni col graffio gelato del nichilismo. E quando il nichilismo si fa programmatico, allora tutto è lecito: così diventano uguali tra loro il bene e il male, l’infliggere sofferenza o l’evitare la sofferenza, procurare dolore o cercare di provare empatia, e così via. Un’insofferenza per i ‘distinguo’ valoriali che si tramuta e trasmuta in indifferenza generalizzata.

 

Figli e genitori dunque, figli e genitori e talvolta anche nonni, incantati dalle sirene dell’effimero, legati alle corde dell’edonismo fine a se stesso, dell’effimero fine a se stesso. Si è perso il senso del sacro nel (anche nel) quotidiano, e sul mare dell’esistenza si è allargata la macchia dell’insofferenza verso i richiami (verso gli stessi concetti) di solennità, di celebrazione interiore del proprio percorso di vita nel mondo.

 

Anche su questo genere di constatazioni (non di oggi ma maturate nel corso degli ultimi anni, traslate qui sopra anche con, si ammette, un certo ondeggiamento tra espressioni figurate tendenti al metaforico e all’allegorico) abbiamo il conforto di un filone di letteratura socio-scientifica che aiuta a comprendere bene e meglio, una letteratura che fornisce indicazioni precise e circostanziate.

 

Scrive il Professor Silvio Bolognini a proposito della tendenza al social disengagement contemporaneamente giovanile e adulto:

 

«Giovani, prioritariamente, ma anche adulti vulnerabili per la convergenza di variabili sociali, individuali e/o congiunturali manifestano lo stesso tendenziale social disengagement, la stessa disgregazione identitaria in cui diventa dominante l’autorappresentazione convalidata dalla rete e la stessa autoreferenzialità osservate in rapporto agli adolescenti.»

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.170-171)

 

E a proposito della necessità di riflessioni e di analisi che sappiano risalire “a monte” del diffuso atteggiamento del moral disengagement (atteggiamento di disimpegno morale e, spesso conseguentemente, anche anti-empatico), come pure a proposito della necessità ‘operativa’ di avviare un contrasto strutturale, sistemico, al fenomeno di tante (e tanto) dannose dinamiche del mondo web-cyber – dinamiche che si riflettono pericolosamente soprattutto sui più giovani, su adolescenti e pre-adolescenti – sottolinea lo stesso Autore:

 

«Nello scenario delineato, in cui lo stesso atteggiamento del “moral disengagement” diventa elemento di contesto, la violenza in rete trova un ambito specifico di collocazione: “Il confine tra uso improprio e uso intenzionalmente malevolo della tecnologia è sottile: si assiste, per quanto riguarda il bullismo in Rete, a una sorta di tensione tra incompetenza e premeditazione e, in questa zona di confine, si sviluppano quei fenomeni che sempre più frequentemente affliggono i giovani e che spesso emergono nel contesto scolastico (..) il cyberbullismo può coinvolgere chiunque poiché i fenomeni di disinibizione online sono più frequenti e diffusi. (11)

È auspicabile che l’azione mirata, preventiva e di contrasto, sul tema del cyberbullismo possa favorire un percorso di riflessione che risalga a monte, giungendo ad approcciare le questioni di fondo, necessariamente complesse (..). Allo stato attuale, tuttavia, l’opzione resta sottotraccia nei richiami alla funzione educativa istituzionale della scuola rispetto alla formazione dell’individuo e del cittadino e con essa resta sottotraccia, come si è cercato di argomentare in questa nostra analisi, la possibilità di prevenire e contrastare strutturalmente l’evoluzione in “fenomeno sociale” di dinamiche web-based o web-enabled di cui già oggi sono individuabili gli indicatori e che potrebbero verosimilmente trovare proprio nei meccanismi del cyberbullying un pericoloso catalizzatore.»

 

(11) Idem, p. 7. [Nota bibliografica riferita a: MIUR – Linee di orientamento per azioni di prevenzione e di contrasto al bullismo e al cyberbullismo, testo elaborato con il contributo degli Enti afferenti all’Advisory Board del SIC per l’Italia, aprile 2015 – nda.]

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.178)

 

 

Ed eccoci dunque, in questo prosieguo argomentativo che viene fatto sempre nell’economia del discorso sull’interpretazione del malessere delle “cyber-vittime”, eccoci alla proposta di una diversa lettura del “male oscuro” (>>) e specificatamente alla proposta de «Il superamento della depressione. La lezione di Qohelet», di cui all’iniziativa ‘Labirinti della mente - Incontri dedicati alle scienze della psiche’ promossa dalla Biblioteca Diocesana di Massa nel 2012 (evento rivolto al vasto pubblico e facente parte della rassegna ‘Ottobre Piovono Libri 2012’). Qui dall’Abstract del Relatore Fabio Gallazzi, filosofo, psicologo e psicoanalista:

«La psicopatologia contemporanea rubrica come sintomo depressivo la crisi profonda che la domanda di senso del vivere può generare e, di fatto, ha sempre generato nella storia. Forse la domanda di senso esige una risposta filosoficamente soddisfacente più che una diagnosi. Il Qohelet documenta questa crisi e offre una via d'uscita profonda e praticabile anche nel mondo di oggi.»

(rif.: ‘Labirinti della mente’, cit., Biblioteca Diocesana di Massa, Ottobre 2012; cfr. pubblicazione sul web >>>)

 

La proposta di cui sopra e «la domanda di senso del vivere», anche nella prospettiva offerta da Qohelet (‘Ecclesiaste’), ha avuto ed ha nella citata iniziativa della Biblioteca Diocesana di Massa una formulazione filosofica nonché psicologico-antropologica, nell’ottica, così testualmente, di «Una psicologia riconciliata con l’Uomo» e di un modello di psicologia – psicologia cognitivo-comportamentale a impianto causale di profondità – tendente a «ricomporre la frattura fra la scienza psicologica e il patrimonio della cultura classica, con particolare attenzione al modello antropologico soggiacente.»

Così dalla Relazione del Prof. Paolo Scapellato, Moderatore Mons. Eugenio Binini:

«Una psicologia riconciliata con l’Uomo: la proposta del modello causale Psicologia cognitivo-comportamentale a impianto causale di profondità.

Abstract: La psicologia cognitivo causale è un modello teorico, di ricerca e di pratica clinica proposto dal prof. Antonino Tamburello, direttore dell'Istituto di formazione Skinner di Roma e responsabile del corso di Laurea in psicologia presso l'Università Europea di Roma. Una caratteristica del modello è il tentativo di ricomporre la frattura fra la scienza psicologica e il patrimonio della cultura classica, con particolare attenzione al modello antropologico soggiacente. Il presente intervento, esposto dal prof. Paolo Scapellato, docente all'Università Europea di Roma, si propone di presentare i principali nodi teorici e applicativi della psicologia cognitivo causale. (..)»

(rif.: ‘Labirinti della mente’, cit., Biblioteca Diocesana di Massa, Ottobre 2012; cfr. pubblicazione sul web >>>)

 

Altra parte di tutto rilievo nella suddetta iniziativa promossa dalla Biblioteca Diocesana di Massa è stata ed è quella dedicata al Pastoral Counseling e alla soggiacente identità filosofica dello stesso, con particolare riguardo all'orizzonte della antropologia cristiana e alla valenza relazionale della psicodinamica esistenziale. Così dalla presentazione dell’intervento, Relatore Mons. Guglielmo Borghetti, Moderatore Mons. Eugenio Binini:

 

«Il Pastoral Counseling, una diaconia ecclesiale. Il modello psicodinamico-esistenziale in prospettiva relazionale dell'istituto Studi e Ricerche di Pastoral Counseling di Camaiore.

Abstract:  Nella relazione viene presentata l'identità specifica del Pastoral Counseling come vera e propria diaconia ecclesiale, evidenziandone la distinzione tra psicoterapia, intervento psicologico e direzione spirituale. Inoltre si presenta a modo di sommario la "filosofia" soggiacente al modello di pastoral counseling che si studia e si pratica all'Istituto di Studi e Ricerche di Pastoral Counseling di Camaiore: nell'orizzonte della antropologia cristiana ci si avvale del contributo della psicodinamica - esistenziale valorizzandone al massimo la valenza relazionale

Mons. Borghetti ha conseguito la laurea in Filosofia, presso l'Università di Pisa, il Baccalaureato in Psicologia presso l'UPS ed ha completato gli studi di teologia presso il Seminario Vescovile di Massa. Nel 2002 ha fondato l'Istituto Studi e Ricerche di Pastoral Counseling. Collabora inoltre come docente di "psicologia della personalità" con la scuola "Edith Stein" di Savona che ha come scopo istituzionale la formazione di educatori di comunità ecclesiali. Il 25 giugno 2010 papa Benedetto XVI lo ha nominato vescovo di Pitigliano-Sovana-Orbetello»

(rif.: ‘Labirinti della mente’, cit., Biblioteca Diocesana di Massa, Ottobre 2012; cfr. pubblicazione sul web >>>)

 

Tirando le linee del presente tassello di annotazioni contrassegnato 08-2), e cercando di sintetizzare il quadro argomentativo qui proposto, si ritiene di poter affermare che (A) una prospettiva educativa morale-etica, anche interpretata in chiave laica (rif. Prof. Bolognini, op.cit. e in particolare parte 3.1) e (B) una prospettiva filosofica, e filosofico-antropologica, come quella in Qohelet – «c’è un tempo per (..) e un tempo per (..)» – e nella richiamata formulazione di «Una psicologia riconciliata con l’Uomo» (rif. relazioni Biblioteca Diocesana di Massa, 2012, cit. ‘Labirinti della mente'), possono espletare gli effetti di tutto il loro prezioso contributo anche per la preservazione dell’integrità umana nell’universo del web e delle cyber-dinamiche.

 

Inoltre, a corollario conclusivo sempre di questa parte di annotazioni, si propone la considerazione che per il superamento dei vuoti/baratri di ‘identità morale’ dei giovani e degli adolescenti – vuoti/baratri che confluiscono ingigantiti negli abissi delle navigazioni cybernetiche e peri-cybernetiche – e per, se non il debellamento, il ridimensionamento del grave fenomeno del disimpegno morale giovanile ma non soltanto giovanile [quel «moral disengagement diffuso nelle comunità in rete (che) si conferma a livello internazionale fattore di rischio e catalizzatore delle dinamiche del bullismo evoluto nella sua variante cyber (..)», come sottolinea S.Bolognini nella sua opera (cfr. p.189, op.cit.)], sia condizione necessaria, essenziale, l’ammissione di responsabilità da parte della società, compresi vari segmenti del sistema dei media, del collegamento intercorrente tra – da una parte – le manchevolezze proprie della società stessa sul piano etico-morale e – dall’altra – una consistente parte degli atteggiamenti distruttivi e autodistruttivi, proprio e anche sul web, del mondo giovanile-adolescenziale.

 

L’avveramento di tale condizione rovescerebbe come un guanto l’attuale patetica, e crudele nella sua violenza definitoria, narrazione (narrazione che peraltro poi rimbalza su ciarle e maldicenze delle stesse chat dei ‘social’) della condizione di smarrimento giovanile, in virtù della quale narrazione detta condizione sarebbe rubricabile a “depressione” – e non già invece da interpretarsi come domanda di senso del vivere, come già visto nella formulazione filosofica dell’essere che sia in cammino spirituale “interrogante” (>>) e anche necessariamente “inquieto”. E la “cura”, allora, si tra(s)muterebbe in accudimento, in accompagnamento (scolastico, educativo, formativo) e in guida durante il cammino tra le selve oscure della vita, inclusa quella sorta di selva ove i confini delle identità fisiche e delle identità virtuali tendono a confondersi.

 

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xx

 

Punto 09)

 

2019: Nuove azioni “sul campo” per un uso responsabile del web.

■ Questioni etiche e legali, sollevate da istituzioni parlamentari e da enti governativi a tutela dei minori.

■ Le iniziative di Unitremilano su IA e la Lezione Magistrale su "Intelligenza Artificiale tra Mito e Realtà". Quando la tecnologia demarca il confine tra utopia e distopia”.

E inoltre: (prove di) fluidificazione della resilienza umanistica.

 

 

Vi sarebbe quindi la possibilità, qualora effettivamente la si volesse mettere in pratica, di superare le fuorvianti conseguenze di quella narrazione così banale e banalizzante (quella che, come già detto, viene fatta soprattutto in tanti salotti televisivi di info-intrattenimento) che ruota attorno al tanto discorrere della “crisi” dei giovani, in specie dei giovani internauti che restano intrappolati nella gabbia di tante perverse dinamiche del web. D’altra parte, se gli adulti e la società tutta adulta non pervengono a una rivisitazione critica degli imperanti modelli (di ingegneria sociale, qui si aggiunge) del web-based, della smartness e dello smart-vivere, se la società adulta non comincia seriamente a interrogarsi sugli aspetti anche etici e morali di quei modelli assunti a paradigmatici, come poter pensare che i più giovani siano esenti dai rischi delle conseguenti derive, di tipo etico e morale per l’appunto?

La speranza è tuttavia che ciò che attualmente, e proprio in questo periodo (prima metà dell’anno 2019) comincia a muoversi in fatto di quel genere di rivisitazione critica da parte della “società adulta”, ebbene, la speranza è che quel moto di pensiero critico faccia il suo percorso: il riferimento, riguardante proprio il periodo in cui vengono articolate le presenti annotazioni (giugno 2019, nda), è in particolare a un’iniziativa del Parlamento europeo, peraltro evidenziata in un ‘post’ di @Europarl_IT su Twitter di domenica 16 giugno 2019, che riporta: «L’intelligenza artificiale semplifica le nostre vite ma solleva molte questioni etiche e legali. Gli eurodeputati puntano a un uso responsabile che non violi i diritti degli individui.».

 

Meno male, verrebbe e viene da dire, che ci si sta arrivando a una seria – anche autorevole, dato il contesto istituzionale, che nello specifico è quello europarlamentare – riflessione.

 

Dell’altrettanto autorevole e recente iniziativa (di metà Giugno 2019), avviata in questo caso da enti governativi statunitensi, dunque nella stessa patria del gigante (il “big G”) delle piattaforme web, è stato già accennato; vedasi al precedente punto 08-1-c) il paragrafo sulla notizia del caso ‘Youtube’ riferito alla protezione dei minori (>>), e che qui si torna a riproporre:

«(..) giova intanto riportare la notizia – 20 Giugno 2019 – che alcuni enti governativi statunitensi a tutela dei minori avrebbero avviato delle azioni di contrasto anche di carattere legale nei confronti della piattaforma ‘Youtube’ in quanto, questa in sostanza la motivazione delle azioni di contrasto avviate da quegli enti, la stessa piattaforma risulta non aver finora tutelato adeguatamente i minori e, per di più, il medesimo ‘Youtube’ "avrebbe anche acquisito in maniera impropria i dati degli utenti".»

 

Tra le iniziative più prestigiose e più preziose anche e proprio per la “presa di coscienza”, per l’acquisizione di nuovi saperi e nuove/diverse cognizioni, da parte del pubblico, circa le molteplici implicazioni delle applicazioni I.A. - Intelligenza Artificiale - e dell’ambito ‘cyber’, non si potevano, qui, non ricordare le iniziative accademico-universitarie. Tra queste si menzionano le iniziative, proprio in tema di evoluzione del mondo cyber – tecnologie, modelli, modalità interattive, e connessi cambiamenti nella vita del cittadino e della società tutta –, ideate e promosse dalla UNITRE MILANO (www.unitremilano.com), Rettore il Professor Silvio Bolognini (*) (Prof. Straordinario Università e-Campus e Direttore CE.DI.S. - Università e-Campus), tra le quali in particolare, sempre per il più recente periodo dell’anno 2019, la Lezione Magistrale su "Intelligenza Artificiale tra Mito e Realtà" (3 Maggio 2019, Auditorium Unitre Milano), con – per le relazioni di presentazione – il Prof. Sergio Luppi (Unitre Milano - Università Cattolica di Milano) e – per le relazioni sugli approfondimenti tematici – la Prof.ssa Stefania Bandini (Università Bicocca di Milano). Tra i temi argomentativi che sono stati sviluppati nel corso delle Relazioni: “Quando la tecnologia demarca il confine tra utopia e distopia” // Uomo e macchina, uomo e IA – Intelligenza Artificiale: l’ambizione di “sostituirsi a Dio” // Reti neurali delle macchine-IA, funzionamento sempre più autonomo dall’uomo e sempre più accelerato. Difficoltà nella previsione delle conseguenze di un’Intelligenza Artificiale sempre più accelerata nel ‘Problem Solving’ e sempre più autonoma dall’uomo (suo stesso artefice e ‘creatore’). == Più estese annotazioni sui contenuti della Lezione Magistrale "Intelligenza Artificiale tra Mito e Realtà" (3 Maggio 2019, Auditorium Unitre Milano) sono contenuto nel Box qui appresso.

 

 

Box

Abstract da:

Lezione Magistrale su "Intelligenza Artificiale tra Mito e Realtà"

UNITRE MILANO

Rettore: Prof. Silvio Bolognini (*)

3 Maggio 2019

Relatori: Prof. Sergio Luppi (Unitre Milano - Università Cattolica di Milano) e Prof.ssa Stefania Bandini (Università Bicocca di Milano).

 

Temi argomentativi e concetti-chiave.

 

 “Quando la tecnologia demarca il confine tra utopia e distopia”

 

Uomo e IA – Intelligenza Artificiale: l’ambizione di “sostituirsi a Dio”.

 

“Problem Solving” sempre più accelerato.

 

IA e picchi di autonomia decisionale delle Reti Neurali.

Difficile prevedere le conseguenze sulla società umana.

 

IA e l'odierno dibattito sull’Etica.

Le responsabilità valoriali dei tecnici di IA.

 

 

IA - Intelligenza Artificiale oggi: “quando la tecnologia demarca il confine tra utopia e distopia” > Tra utopia e distopia, perché siamo di fronte a ciò che noi prospettiamo.

Già dagli albori dell’umanità, l’essere umano ha sognato di macchine che potesse sgravare il lavoro fisico. Ma oggigiorno v’è di più (molto di più di quel desiderio di potersi affrancare dal lavoro fisico di tipo più gravoso, più pesante), giacché l’essere umano nella sua pressione/spinta impressa alla tecnologia e allo sviluppo sempre più sofisticato dei modelli tecnologici da egli stesso creati ha come maturato in sé il desiderio di sostituirsi a Dio. Proprio su questo aspetto del “sostituirsi a Dio” prospera tutto un filone di ricerca sulla IA, Intelligenza Artificiale, un genere di ricerca di carattere esistenziale-filosofico.

Interessante, in tal senso, anche un recente Convegno in Vaticano su “Coscienza, Anima e Intelligenza Artificiale”, con i contributi di studio del Prof. Faggini, uno dei massimi conoscitori e ricercatori contemporanei sul tema della coscienza analizzato alla luce degli sviluppi della IA.

Quanto alle Reti Neurali delle macchine, Reti Neurali che hanno tutto un loro divenire storico e che in se stesse non costituiscono affatto una novità (data la loro nascita risalente agli anni dello sviluppo dei modelli teorici di Marvin Minsky, anni 1966 e dintorni, e del relativo Manifesto sul “Problem Solving”), il loro – e in questo caso carattere di “novità” odierno è costituito dal fatto che esse dimostrano picchi di capacità, di abilità, e soprattutto picchi di autonomia decisionale, tali da non mettere in grado la società umana di poter prevedere a quali conseguenze potranno portare le forti accelerazioni del loro funzionamento.

Detto in altri termini: la società attuale è nella condizione di doversi adattare al funzionamento delle macchine dotate di Intelligenza Artificiale – quelle macchine che essa stessa ha creato e prodotto, affinché potessero svolgere in sua vece i lavori più gravosi e meno gratificanti e, dunque, potessero realizzare il sogno/desiderio umano di avere macchine capaci di svolgere i compiti del “Problem Solving” (funzionamento che presiede alla risoluzione di uno o più dati problemi) – ma non sa e non può prevedere a cosa porterà quel suo adattamento alle macchine, macchine sempre più accelerate nello sviluppo del loro funzionamento autonomo.

Oggi il dibattito sulle Intelligenze Artificiali verte non soltanto sulla tecnologia, ma verte invece soprattutto sull’Etica. Al centro di quel dibattito vi sono dunque le responsabilità valoriali dei tecnici di IA.

 

 

_____ Per chi volesse sapere di più sulle Relazioni e sui documenti agli atti della Lezione Magistrale su "Intelligenza Artificiale tra Mito e Realtà" ideata e promossa dall’UNITRE MILANO (3 Maggio 2019), si rimanda alle indicazioni di contatto contenute nel sito www.unitremilano.com.

 

 

UNITRE MILANO

Rettore: Prof. Silvio Bolognini

 

SILVIO BOLOGNINI Prof. Straordinario - Università e-Campus, cattedre "Teoria generale del diritto" e "Principi giuridici fondamentali, legislazione e programmazione dei servizi". Direttore CE.DI.S. - Centro Studi e Ricerche sulle politiche del diritto e sviluppo del sistema produttivo e dei diritti - Università e-Campus).

 

 

 

 

Ontologia del linguaggio informatico === Logiche di IA non più soltanto all’interno di un ‘dominio’ === Autoriproduzione, sviluppo accelerato, picchi di autonomia decisionale === Essere umano > adattamento a IA > ma non prevedibilità delle IA.

 

 

 

Su un piano diverso e tuttavia abbastanza significativo (e non già per un fatto autoreferenziale) su questo terreno di voci che si fronteggiano con le narrazioni più ‘mainstream’, più “nella corrente”, in materia di smartness, di ‘web-based’ e di ‘Intelligenza Artificiale’ - I.A., è il meccanismo che anche chi qui scrive ha potuto constatare personalmente: un meccanismo, detto in buona sostanza, di fluidificazione delle posizioni, laddove è stato possibile constatare che l’avvio di interventi a favore di una resilienza umanistica nel web e nello stesso campo della I.A. ha facilitato l’espressione di altri utenti a favore di quegli interventi medesimi. Il meccanismo che si è prodotto è stato possibile rilevarlo in una piattaforma dei più seri ‘social’ di tipo professionale, ad alta audience non soltanto di utenti per l’appunto professionali (quelli iscritti e partecipanti alla piattaforma stessa), ma anche ad alta audience “affiancata”, intendendo con ciò quei media c.d. tradizionali (e in particolare le emittenti radiofoniche) che puntualmente seguono e monitorano i contenuti e gli andamenti espressivi della stessa piattaforma professionale social, se non altro per cavalcare l’onda degli stessi contenuti e degli stessi andamenti. Restando sul punto, giova riportare quanto segue: dopo un set di interventi, di fine Maggio 2019, del tipo suddetto, ovvero dopo l’inserimento di una serie di post+articoli pubblicati nello stesso giorno – uno dei quali verte sul citato libro del Prof. Silvio Bolognini sul tema del “cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale”, più un altro su una prolusione del Cardinal Ravasi [su questo punto vedasi anche parte dedicata nelle annotazioni contrassegnate '07-II)', comprese all'interno del testo di cui al Punto 07) >>] sempre in materia di infosfera, di cyber-relazioni e di social network, e, a seguire, un altro intervento ancora (anche con commento della scrivente) e in questo caso su un contributo di autorevoli realtà del mondo produttivo a convegno su web & I.A., e nello specifico sui problemi posti alla persona umana dalla massiccia e pervasiva presenza dell’Intelligenza Artificiale, si è determinato quello che qui sopra è stato definito “fluidificazione delle posizioni” in direzione dell’affermazione del “valore umano” in rapporto a web e I.A., ovvero in direzione di una preservazione dell’integrità umana; e ciò si è determinato non soltanto nella piattaforma professionale ‘social’ in questione ma, già qualche ora dopo (l’indomani mattina, già nell’iniziale serie di approfondimenti info-tematici dei vari programmi), anche nei media generalisti di tipo tradizionale (in particolare, per quel che direttamente è stato possibile rilevare, nelle trasmissioni radiofoniche pubbliche). Per chi volesse curiosare all’interno di quel set di interventi social-professionali del 28 Maggio 2019, si indicano qui i seguenti links:

 

https://www.linkedin.com/pulse/su-il-cyberbullismo-come-volto-demoniaco-del-potere-e-marina-palmieri/   < === (rif.: S.Bolognini)

+

https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6539230291016339456/

+

https://www.linkedin.com/feed/update/urn:li:activity:6534662600427479040?commentUrn=urn%3Ali%3Acomment%3A%28activity%3A6534662600427479040%2C6539221442477740033%29

 

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Punto 10)

 

■ Tendenze suicidarie giovanili: dati raddoppiati nel corso di un anno. Il monitoraggio dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza.

■ L'intenzionalità meditata, le web-sette create da adulti e il fenomeno delle ‘chat suicide’ (‘Blue whale’ e non solo).

 

 

Grave e decisamente pesante è l’aumento esponenziale rilevato in questi ultimi anni – e con punte di raddoppio da un anno all’anno successivo – dei casi di giovani adolescenti che a causa di cyber-interazioni dannose hanno tentato il suicidio.

 

Così l’Autore, Prof. Silvio Bolognini, della citata pubblicazione «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto»:

 

«Stando ai dati dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza e di Skuola.net 2016, la versione cyber, analogamente a quanto rilevato dalla ricerca di Jama Pediatrics, sarebbe ancora più pericolosa, in un contesto che vede crescere in modo preoccupante i suicidi fra i giovanissimi: “Ogni anno l’Osservatorio Nazionale Adolescenza monitora questi fenomeni e questi comportamenti degli adolescenti. Secondo i dati del 2015 gli adolescenti che pensavano al suicidio erano circa il 20%, 2 su 10, e solo il 3,3% aveva tentato il suicidio, rispetto al 6% del 2016. PARLIAMO DI DATI CHE SONO RADDOPPIATI NEL CORSO DI UN ANNO. Uno dei fattori che spinge i ragazzi a tentare il suicidio è il bullismo e ancor più il cyberbullismo. Tra le vittime del cyberbullismo, infatti, circa la metà pensa di togliersi la vita”, scrive su L’Espresso la Presidente dell’Osservatorio Nazionale Adolescenza e direttore del magazine AdoleScienza (6).»

 

(6) Manca, M., Il suicidio in adolescenza: un fenomeno in forte aumento soprattutto tra le ragazze, in L’Espresso, 10 settembre 2016.

(Silvio Bolognini, op.cit., p.15)

 

Nell’intera Parte I (p.11 e segg., op.cit., S.Bolognini) dedicata alla fenomenologia del cyberbullismo e in particolare nelle oltre cinquanta pagine di «1.2. Il cyberbullismo dalla fase “tradizionale” a quella “evoluta» (pp.28-82, op.cit.) vengono passati in rassegna molti casi, carichi di terribile dolore morale delle vittime e relativi familiari, di quei suicidi tra i giovanissimi. L’Autore non manca di rimarcare l’intenzionalità, nelle vittime, di rendere quanto più possibile visibile e viralmente visibile (in una visibilità il cui effetto moltiplicativo è affidato ai meccanismi virali del web, virali in breve giro di tempo e potenzialmente infiniti) il loro ultimo atto e le modalità stesse adottate per metterlo in atto, quell’atto stesso. Si tratta, in tanti di quei casi di suicidio, di una intenzionalità meditata. Leggiamo così che:

 

«(..) In effetti benché la rete non risparmi nulla a queste vittime, infierendo anzi anche laddove, come nel caso di Amanda Todd, la disperata intenzione suicida venga manifestata, non c’è evidenza, a quanto ci consta, di messaggi di odio o di rivendicazione lasciati dai suicidi e questo induce ancor di più a ritenere lungamente meditata la modalità espressiva specifica dell’atto finale, meditato il significato, meditata la valenza estetica, meditata la responsabilizzazione implicita nella comunicazione consegnata “per sempre” alla rete.

Il suicidio rituale – concetto in cui includiamo anche l’atto di lasciare al web una memoria o un messaggio più o meno chiaramente anticipatore del suicidio stesso – sembra ribadire nella sua forma codificata l’asimmetria del rapporto per cui tutta la violenza verbale resta confinata dalla parte dei persecutori.»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.35)

 

Sempre in tema di suicidi presso i giovani e giovanissimi utenti del cyberspazio e sempre in «1.2. Il cyberbullismo dalla fase “tradizionale” a quella “evoluta”», il libro del Prof. S.Bolognini si sofferma nei suoi passaggi argomentativi anche sul fenomeno dei suicidi riconducibili alle attività delle «community della morte». Di quei passaggi (che si spera il lettore voglia leggere per intero e con la massima attenzione, per comprendere appieno la tentacolare negatività di molti meccanismi social-web che si agitano nella rete) ne vengono riportati qui i seguenti:

 

«La realtà – digitale – supera tuttavia, in negativo purtroppo, qualsiasi immaginazione: l’istigazione al suicidio diventa essa stessa tendenza. Agghiacciante in proposito è quanto emerso da una inchiesta avviata in Russia, di cui dà notizia un articolo pubblicato su Repubblica nel febbraio del 2017: “A scoperchiare il fenomeno – leggiamo nell’articolo dedicato alla vicenda – fu lo scorso maggio un’inchiesta pubblicata su ‘Novaja Gazeta’. Dal novembre 2015 all’aprile 2016, scrisse la giornalista Galina Mursalieva, su 130 ragazzi suicidatisi nella Federazione, almeno 80 facevano parte di queste comunità virtuali. Allora l’articolo fece molto scalpore: Mursalieva puntava il dito contro sette create da adulti, ma altri giornalisti replicarono che si trattava solo di burle o giochi da adolescenti. si aprì persino un dibattito sull’etica del giornale fondato da Anna Politkovskaja, la giornalista uccisa nel 2006, per aver gettato nel panico migliaia di genitori. Tuttavia, l’agenzia censore di stato, Roskomnadzor, bloccò decine di siti inneggianti al suicidio e le segnalazioni di contenuti sospetti triplicarono. (..)»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.36-37)

 

E proseguendo nell’esposizione del fenomeno delle ‘chat suicide’ delle cosiddette “balene blu”:

«L’ondata delle balene blu, come prevedibile nel villaggio globale e iperconnesso, non ha tardato a raggiungere il Sud America e l’Europa. La popolare trasmissione Le Iene ha dedicato un servizio approfondito al fenomeno, intervistando un giornalista che si è recato in Russia ad incontrare i familiari delle giovani vittime al quale, come leggiamo in un articolo pubblicato posteriormente alla puntata andata in onda il 14 maggio, uno psicologo ha spiegato che “chi arriva all’ultimo giorno viene celebrato dagli altri membri della comunità come un eroe. ‘(..) è un modo per fare il lavaggio del cervello dei giovani – spiega l’esperto – Chi partecipa al ‘gioco’ non deve dire nulla ai genitori né lasciare tracce in giro. I curatori hanno trovato il modo per condizionare le loro menti e la morte è l’unica soluzione per porre fine al Blue whale. I tutor per portare al suicidio inviano video satanici, suicidi, morti violente ai partecipanti in modo da condizionare le loro menti. I ragazzi che entrano a far parte di questa comunità perversa hanno tra i 9 e i 17 anni’ (…) (..)»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.38)

 

*** Nota aggiunta: per quanto riguarda il punto preciso delle web-sette nonché “chat-suicide” e vere e proprie “community della morte” create e gestite dagli adulti, si richiama il lettore di queste annotazioni ad un’attenta lettura delle più avanti riportate Caratteristiche della Tipologia dello «“Stalking sadico”» specificate in S.I.L.VI.A., Progetto realizzato dalla Direzione Centrale Anticrimine, Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, in Collaborazione con il Dipartimento di Psicologia, Centro Studi Cesvis, Seconda Università degli Studi di Napoli, https://www.poliziadistato.it/statics/09/silvia_def.pdf, nelle quali viene ben evidenziato l’elemento ricorrente dell’età adulta: «gli “stalkers” sadici hanno già avuto in precedenza tendenze comportamentali simili, soprattutto se di età superiore ai 40 anni(>>).

Altresì si invita il lettore di queste annotazioni a soffermarsi sul quadro generale delle Caratteristiche età-correlate degli stessi stalkers sadici (>>), tra le quali (riportate in modo schematico qui appresso, per comodità di lettura) in particolare: approccio inizialmente benevolo e poi sempre più persecutorio // infiltrazione sistematica nella vita della ‘preda’, per crearle sconcerto e nervosismo // accentuata freddezza emotiva // pregressi comportamenti sadici e continuità nel comportamento sadico, negli stalkers sadici di età superiore ai 40 anni // alta pericolosità in particolar modo per la violenza psicologica.

 

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Viene qui allora aperto, se non altro come spunto, un altro tassello annotativo: quello sulla enfatizzazione mediatica (a sua volta pseudo-estetizzante) dei fenomeni autolesionistici e suicidari coralmente orchestrati (come quelli, sopra riportati, della c.d. ‘Blue whale’). Informare sì, e far sapere sì, ma come? Rileva sempre davvero l’intento di “mettere al corrente” sul pericolo e di contribuire così a fare prevenzione sul pericolo stesso, oppure finisce con il prevalere la logica acchiappa-ascolti, ossia la logica dell’audience e dello share, quel tipo di logica che utilizza registri espressivi così tanto ammalianti da facilitare, molto verosimilmente e specie tra le componenti già più ‘scomposte’ (vulnerabili, si dice in questi casi) della larga massa, i meccanismi di emulazione, di imitazione?

 

(È un po’, questo, anche se naturalmente con accentuazioni diverse e con valenze diverse, anche l’interrogativo che viene da porsi dinnanzi a serie televisive del tipo ‘docu-film’ come quella del celebre o famigerato – a seconda dei punti di vista – «Gomorra».). L’aberrazione va davvero sempre e comunque rappresentata per via massmediatica? I ‘cattivi esempi’ devono davvero essere sempre utilizzati come “risorse” dalle sapienti regie rappresentative dei – propriamente – mass-media, tenuto conto che la fruizione degli stessi mass-media non è affatto ‘di nicchia’ e niente affatto a fruizione ‘opzionabile’ dietro richieste che diversamente fossero per l’appunto di nicchia (come in fondo è parzialmente la fruizione dello stesso web, e come anche è la fruizione del cinema qualora esso venga fruito/consumato nelle sale cinematografiche), ma è invece – caratteristica specifica dei mezzi di comunicazione di massafruizione di massa, dato che l’offerta, la “mandata in onda”, dei prodotti massmediatici è rivolta alla massa dei destinatari.

 

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Punto 11)

 

Cyberbullismo ed esiti suicidari. Rispettare il vissuto dei vivi e il già vissuto dei morti. Rispettare il pudore, anche nelle narrazioni.

 

 

Altra puntualizzazione sorge dall'interrogativo su quanto sia lecito mettere in evidenza – e se sia, oppure no, lecito mettere in evidenza – sul piano giornalistico-informativo il ruolo probabilmente giocato dal (anche dal) fattore della eventuale 'depressione' nella intensificazione delle sofferenze, ovvero il ruolo eventualmente esercitato dallo stesso fattore depressivo nella gestione dello stress e, se esercitato, quanto quel fattore "possa spiegare" l'evolversi infausto degli esiti dello stress sino al compimento dell'ultimo atto, quello definitivamente e totalmente autolesionistico, ossia l'atto suicidario. Personalmente, per un atteggiamento di deontologia "intima" (anche ma non solo professionale) prima ancora che professionalmente decisa/proposta dall’esterno, chi scrive tende a ritenere che il mondo giornalistico-informativo dovrebbe soltanto in punta di piedi, in punta di penna o di tastiera, inoltrarsi nella sottolineatura della presenza di detto fattore depressivo qualora, come attori/veicoli di quel mondo giornalistico-informativo, si sia impegnati a riportare fatti e vissuti di sofferenze indotte dall'aver subìto violenze, anche e soprattutto quando quelle sofferenze si siano risolte nel tragico atto del suicidio. È una questione, fondamentalmente, di rispetto verso la vittima (e rispettiva cerchia familiare e amicale) e verso lo stesso pubblico; e, più in particolare, è anche una questione di rispetto del senso di pudore altrui, pudore anche della persona morta, il quale elemento va anche congiunto al rispetto per il senso di riserbo e di protezione del sé più intimo che come ben si può immaginare sia stato provato (e con tutto diritto di provarlo) dalla vittima, e, non in ultimo, va congiunto altresì al rispetto verso il senso di vergogna e di inadeguatezza, spessissimo anch’essi provati dalla vittima medesima, per di più – specie nei casi in cui l’intensificazione della sofferenza sia esitata in suicidio – qualora quei sensi di vergogna, di inadeguatezza, di protezione del sé non siano più difendibili “in proprio”.

 

E, ancora, sempre la scelta di non insistere in quella sottolineatura si inserisce in un indirizzo comunicativo, che si potrebbe definire anche come una "forma mentale" comunicativa, che non intende contribuire a spostare i termini, pesanti, del problema: se un fatto tragico, come e quale è il suicidio (che qui in argomento è segnatamente il suicidio giovanile indotto da cyberbullismo/cyberviolenze) è stato (certo in un rapporto pur sempre variabile di causa-effetto e anche con tutte le gradazioni di correlazione prospettabili) il risultato di vessazioni e violenze subìte, ebbene, allora chi si occupa di fare comunicazione e informazione dovrebbe, di quel fatto tragico, privilegiare la linea della dinamica della “evoluzione della negatività” di quello stesso fatto tragico e, seppure senza insistenze e senza l'intento di sollecitare morbosa curiosità, dovrebbe chiaramente esporre che un comportamento lesivo è stato messo in atto (quello della parte del sopraffattore) e che un danno è stato subìto (quello da parte della vittima), anche e in particolare in termini di sofferenze psicofisiche.

 

È questa la linea privilegiata dell'esposizione che dovrebbe trovare spazio nel mondo della comunicazione e informazione, specie nelle pagine della cosiddetta 'cronaca nera', come pure (auspicabilmente e sempre a parere di chi scrive) nella letteratura saggistica su quel genere di dinamiche umane che abbiano come centrale l'elemento dell'esercizio gratuito – ancor più quello doloso, per di più se con le aggiunte aggravanti della crudeltà – della  violenza.

 

E allora, anche con riferimento alle su esposte considerazioni, come esporre l'elemento della (qualora presente) depressione per illustrare nel modo più esaustivo la complessità dell'intreccio dinamico del fenomeno violenza vs. sofferenza vs. suicidio? Una risposta precisa, ovviamente, non è possibile fornirla (soprattutto qui, tra queste righe), ma è il caso di rilevare che anche nella letteratura saggistica più specializzata in materia di 'scienze umane' ci sono opzioni narrative diverse, finanche scuole di pensiero diverse e anche molto differenti tra loro, e dunque anche la formulazione espositiva di quel genere di fatti e di dinamiche sarà, ed è, molto diversa, da una scuola di pensiero ad un'altra, da un'opzione valoriale ad un'altra, dalla preferenza di un paradigma che sia stato assunto come ‘portante’ ad un'altra preferenza paradigmatica.

 

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Punto 12)

 

■ Su Normazione e Configurabilità del reato || Cyberbullying e violazione di norme penali. || Cyberbullying e illecito civile.

■ Cyberbullismo, Cyberharrassment e dintorni: quando nel sadismo sul web confluiscono le caratteristiche dello “Stalking sadico”.

■ Focus sul "criterio di selezione" da parte del persecutore (riferimento: strumento S.I.L.VI.A., 'Stalking Inventory List per Vittime e Autori').  

 

 

12-1

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12-1-1)

Un punto saldo, anche e proprio nell’alveo della rappresentazione, e della relativa rappresentatività e configurabilità (anche nell’ottica di una tipicizzazione più specifica, in un prossimo futuro, e più estesa, più ‘integrativa’) di natura giuridica del fenomeno della violenza su web e/o violenza web-indotta è tuttavia offerto dalla letteratura giurisprudenziale (vedasi per esempio, sul piano della letteratura giurisprudenziale penale, anche il filone della cd. "vittimologia") sul fronte della configurabilità dei reati che attengono al danneggiamento di un vasto complesso di diritti inviolabili della persona. Vedasi inoltre, e significativamente anche per la progressiva, nel corso di pochi anni, estensione dell'applicabilità al "mondo del web", la cd. "Legge anti-Stalking”, entrata in vigore con decreto di legge governativo del 25 febbraio 2009, che ha previsto e introdotto nell'ordinamento normativo la specifica fattispecie di reato per “atti persecutori” ex. art. 612 bis del codice penale.

12-1-2)

Circa gli aspetti (attuali e in divenire) della normazione e della configurabilità del reato da riferirsi anche all’ambito web, leggiamo nel libro del Professor Bolognini «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus):

«(..) Come anticipato, nei confronti del cyberbullismo esistono politiche del diritto orientate a futura normazione, largamente caratterizzate – al di là delle differenti configurazioni secondo le prospettive individuali dei promotori – dal considerare il cyberbullismo nel suo insieme, coerentemente con quanto sopra, come espressione patologica connessa al potere digitale.

Gli approcci conoscitivi tradizionali a questo fenomeno mettono in luce, da un lato, l'utilizzo del web come strumento garante dell'efficacia rafforzata delle sue conseguenze e, dall'altro, la configurabilità del cyberbullying come – superata una determinata soglia di pericolosità – coinvolgente la violazione di specifiche (non necessariamente univoche o standardizzate) norme penali. Tra esse citiamo quelle riguardanti il reato di minacce (art. 612 c.p.) ingiurie o diffamazione (artt. 594 e 595 c.p.), molestie o disturbo (art. 660 c.p.), interferenze nella vita privata (art. 615 c.p.) e stalking (art. 612-bis c.p.). Il cyberbullismo comporta, altresì, la violazione della norma di diritto privato (illecito civile). Il riferimento giuridico per l'illecito civile è l'art. 2043 c.c., secondo il quale "qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno".

La possibile riconoscibilità del danno (che può riguardare non solo il bullo ma anche – se minore – i genitori ed eventualmente il contesto scolastico per colpa – rispettivamente – in vigilando e in educando) attiene al danno morale (patire sofferenze fisiche o morali, turbamento dello stato d'animo della vittima, lacrime, dolori, patemi d'animo); al danno biologico (danno riguardante la salute e l'integrità fisica e psichica della persona tutelati dalla Costituzione Italiana all'art. 32); al danno esistenziale (danno alla persona, alla sua esistenza, alla qualità della vita, alla vita di relazione, alla riservatezza, alla reputazione, all'immagine, all'autodeterminazione sessuale; la tutela del pieno sviluppo della persona nelle formazioni sociali è riconosciuta dall'art. 2 della Costituzione Italiana).

La letteratura sul tema è copiosa, sovente basata su case study, connotata in senso psicologico, sociologico, ovvero orientata a fare luce su aspetti specifici concernenti il diritto e le politiche di intervento (preventivo e repressivo) (12).»

(Silvio Bolognini, op.cit., pp.7-8)

 [Il rimando contrassegnato '(12)' di cui sopra si riferisce alla nota bibliografica compresa tra le pp.8-10 dell'op.cit.: «(12) Le letture proposte di seguito rendono l'idea della portata del fenomeno: (..) (..) (..)» (cfr. p.8 op.cit.)

 

12-1-3)

12-1-3--A] Interessante, inoltre, il raffronto con il corpo normativo di riferimento che è stato vigente, in materia di contrasto alle condotte vessatorie, “a ridosso” dell'entrata in vigore della stessa "Legge anti-Stalking" del 25.2.2009. A tale riguardo si ritiene utile menzionare, per uno sguardo retrospettico sulla evoluzione dell'impianto normativo in materia di atti di vessazione e atti persecutori (evoluzione anche in ‘chiave-web’), lo 'Stalking Inventory List per Vittime e Autori', in acronimo S.I.L.VI.A., già del 2008 (https://www.poliziadistato.it/statics/09/silvia_def.pdf).

 

12-1-3--B] Ancora con riferimento al Progetto S.I.L.VI.A., Progetto realizzato dalla Direzione Centrale Anticrimine, Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato, in Collaborazione con il Dipartimento di Psicologia, Centro Studi Cesvis, Seconda Università degli Studi di Napoli, si ritiene possa essere utile indicare nell'economia del tema in oggetto – tema che, si torna a ricordare, è specificatamente il fenomeno delle violenze web-mediate, cyberbullismo ma anche cyberharrassment, di cui alla citata pubblicazione del Prof. Silvio Bolognini –, che nello stesso strumento S.I.L.VI.A., Stalking Inventory List per Vittime e Autori [>>], edizione 2008 trovarono già inclusione precise tipologie di reati cyber-mediati. Si riporta, a tale riguardo, la parte «Tipologia 5. “Stalking sadico”» [cfr. pp.7-8, S.I.L.VI.A., cit.] (compresa nella 'Parte prima. Cos’è lo Stalking e chi sono i protagonisti'), tra le 'Caratteristiche' della quale Tipologia, quella dello “Stalking sadico”, viene riportato:

 

«alcuni comportamenti hanno una matrice sessuale ed hanno principalmente lo scopo di umiliare la vittima, disgustarla e, in generale, minarne l’autostima. Si ricorda il caso di un ex-partner che, per “vendicarsi” di una ragazza che lo aveva lasciato, a parer suo ingiustamente, ha immesso foto che la ritraevano nuda nella rete Internet, affiggendole anche alle pareti della Facoltà dove la donna studiava.»

 

12-1-3--C] Ugualmente ben rappresentativa, così come descritta e illustrata sempre nel Progetto S.I.L.VI.A. [ >> + >> ] e in termini che si potrebbero definire prodromici della persecuzione anche Internet-mediata, è l'altra 'Caratteristica', quella sul "criterio di selezione", indicata in un passaggio precedente della stessa Tipologia dello “Stalking sadico” e che recita:

 

«il criterio di selezione da parte del persecutore è basato principalmente sulle caratteristiche proprie della vittima stessa, che può essere considerata una persona da rovinare poiché percepita come felice e/o realizzata; in questo contesto, nella percezione della vittima per lo più non esiste alcuna spiegazione plausibile sul perché sia stata presa di mira;»

 

12-1-3--D] E ancora, nei passaggi successivi dello stesso Progetto S.I.L.VI.A. [ >> + >> ] sempre riferiti alle caratteristiche dello “Stalking sadico”, in un’esposizione che rende un “quadro delle caratteristiche” (anche di età) degli ‘stalkers sadici’:

 

- «il livello iniziale di conoscenza fra vittima e “stalker” è basso;»

- «il tipo di approccio è inizialmente benevolo, per poi diventare sempre più persecutorio. Lo “stalker” si infiltra sistematicamente nella vita della preda, per crearle sconcerto e nervosismo;»

- «l’autore si caratterizza per possedere una accentuata freddezza emotiva e spesso un disturbo antisociale della condotta;»

- «gli “stalkers” sadici hanno già avuto in precedenza tendenze comportamentali simili, soprattutto se di età superiore ai 40 anni;»

- «lo “stalker” sadico può essere molto pericoloso, in particolar modo per la violenza psicologica;)».

 

 

12-2

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12-2-1)

(Se) Ciò che rileva è la messa a repentaglio della libertà e della tranquillità psichica del ricevente.

«Il fatto in sé» che una persona venga fatta vittima di persecuzioni.

 

Ancora in merito alle persecuzioni Internet-mediate, un'ulteriore parte del citato strumento S.I.L.VI.A., 'Stalking Inventory List per Vittime e Autori' [ >> + >> ], testimonia della crescente attenzione giurisprudenziale e della tempestività di individuazione e di monitoraggio da parte degli operatori dello strumento S.I.L.VI.A. stesso, laddove precisamente si legge (cfr. pp.12-13 in https://www.poliziadistato.it/statics/09/silvia_def.pdf) all'interno della 'Parte seconda. Riferimenti normativi per il contrasto alle condotte vessatorie (fuori o dentro il contesto familiare)':

 

«La giurisprudenza rivolge, da tempo, molta attenzione al fenomeno delle “molestie assillanti” e, in svariate pronunce, ha punito quei comportamenti molesti messi in atto attraverso comunicazioni di tal fatta con il telefono, per lettera o con la diffusione di materiale fotografico o video inerente la vittima, senza il suo consenso.

Un esempio significativo è dato dalla sentenza nr. 26680/2004 della Terza Sezione della Suprema Corte che ha respinto il ricorso della difesa contro la decisione della Corte di Appello di Torino (sent. del 22/3/2002 di conferma alla sentenza di primo grado) che aveva condannato un soggetto ritenuto colpevole di molestie (art. 660 c.p.), perché col mezzo del telefono e mediante lettera, aveva recato personalmente disturbo alla sua ex-partner e perché, allo scopo di recarle danno ed effettivamente procurandole un nocumento, aveva diffuso su un sito Internet, senza il suo consenso, immagini tratte da una videocassetta contenente un suo spogliarello, pubblicando, altresì, il numero dell’utenza cellulare della stessa. Le motivazioni rese dalla Suprema Corte adducono che “l’art. 660 c.p. ha voluto incriminare non tanto il messaggio molesto che il destinatario è costretto ad ascoltare (per telefono), quanto ogni messaggio che il destinatario è costretto a percepire, sia de auditu che de visu, prima di poterne individuare il mittente, perché entrambi i tipi di messaggi mettono a repentaglio la libertà e tranquillità psichica del ricevente. Si comprende così come l’interpretazione letterale dell’art. 660 c.p., che porta a comprendere, tra i mezzi della molestia punibile, anche gli SMS trasmessi per via telefonica, sia conforme alla ratio della norma e venga, quindi, a coincidere con la sua interdipendenza teleologica”.».

 

12-2-2)

12-2-2--A] Ora, con riferimento alle considerazioni già in precedenza esposte nel corrente testo di annotazioni, ossia le considerazioni sul si/no circa l’opportunità di porre in risalto il fattore umorale e/o il fattore 'depressivo' (in quest’ultimo caso qualora una condizione propriamente depressiva sia realmente presente nella vittima – o sia stata realmente presente nella vittima suicida – della cyber-violenza), si ritiene qui opportuno osservare come in uno strumento nonché programma, di individuazione e monitoraggio, così importante quale il richiamato S.I.L.VI.A. 'Stalking Inventory List per Vittime e Autori' [ >> + >> ] non sia fatto cenno allo stato umorale della figura "presa di mira", cioè allo stato umorale del soggetto (solitamente di genere femminile) per come esso possa eventualmente trovarsi o essersi trovato 'prima' che a suo danno siano state messe in atto le persecuzioni. Ciò che in tale strumento/progetto concerne è il fatto in sé che una persona venga fatta vittima di persecuzioni.

 

12-2-2--B] L'unico fondamentale elemento dello stato emotivo della vittima però monitorato in relazione alle persecuzioni (dunque 'durante' e 'dopo' le persecuzioni stesse), elemento importante anche per la successiva valutazione in ambito giudiziario-processuale del caso dell’occorrenza di stalking che venga presa in esame, è quello della paura ingenerata, per l'appunto, nella vittima dai comportamenti messi in atto dallo stalker, ossia della paura ingenerata dal ventaglio di atti vessatori e di atti persecutori realizzati dall'autore dello stalking.

 

12-2-2--C] Giova allora anche ricordare, con un rimando ai tempi più recenti, l'ulteriore svolta evolutiva del diritto sempre in materia di inviolabilità della integrità psicofisica del soggetto 'persona' e, nel contempo, in materia delle previsioni normative a tutela di tale integrità, proprio laddove il fattore 'paura' si fa direttamente momento giuridicamente interessante: si veda, a tale proposito, «Trauma psicologico: è risarcibile?» – 4 Febbraio 2019 – in 'La Legge per Tutti' all'indirizzo https://www.laleggepertutti.it/273457_trauma-psicologico-e-risarcibile:

 

«Il risarcimento del danno biologico non include anche il danno morale: le due categorie sono separate. La paura è risarcibile.» - «(..) Oggi la Cassazione supera il tradizionale orientamento e dice: il danno biologico è una cosa, il danno morale è un’altra. (..) Il danno morale quindi non si deve più ritenere assorbito nel danno biologico. Le due voci di danno non sono sovrapponibili. Il danno morale, infatti, si identifica con il dolore psichico – e non in quello fisico che fa parte del danno biologico – patito in via non definitiva in relazione alla lesione subita: si tratta di un patema d’animo o, per dirla con altre parole, di uno stato di angoscia transitorio o di un trauma psicologico.»

(cfr. cit. laleggepertutti.it, con note di riferimento su: Cass. sent. n. 2788/2019; Cass. sent. n. 24217/2017; Cass. S.U.sent. n. 26972/26973/26974/26975 dell11.11.2008).

 

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Punto 13)

 

Il gioco al massacro, tra i giovani cybernauti, delle interpretazioni sulle intenzioni autolesionistiche.

E nelle ricostruzioni dei casi di web-vessazione risoltisi in suicidio: il dilemma del “riconducibile” o del “non riconducibile”.

 

 

Tutto bene, dunque, in ordine alla tutela (e alla considerazione umana nonché al senso di solidarietà) rivolta alla vittima, la vittima di un comportamento dannoso che, oggigiorno, sempre più trova estensione nella dimensione tecnologica amplificatoria del mondo del web (anche, spesso, nella formulazione "in combinatoria" con il mondo fisico-reale)? Oppure qualcosa di importante nella, di fatto, "violata inviolabilità" della persona umana che sia stata resa vittima di cyber-persecuzione va meglio considerata? Come non avvertire l'urgenza di un superamento della fuorviante idea, anzi del fuorviante retro-pensiero, che vorrebbe l'eventuale presenza di critici stati emotivi preesistenti, nella persona che sia stata poi vittimizzata via web, quali fattori di alleggerimento nella valutazione dei danni subiti dalla vittima medesima e, per converso, quali fattori di alleggerimento della posizione giuridica del reo, ossia dell'autore delle persecuzioni che abbiano innescato e provocato quei danni nella vittima?

 

Su questo aspetto della particolare e discutibile (proprio nel senso letterale di cosa "atta ad essere discussa") algebra interpretativa del fenomeno della cyber-violenza preso in considerazione anche nelle sue conseguenze più esiziali e più tragiche (autolesionismo fino alla realizzazione di atto suicidario), il citato libro del Professor Silvio Bolognini, libro oggetto-principe delle presenti annotazioni e intitolato «Il Cyberbullismo come volto demoniaco del potere digitale e le (possibili) politiche del diritto antidoto», offre una nutrita e argomentata selezione della casistica. Si legge così di casi (casi Italia e estero) anche di efferata 'violenza cyber' rimasti parzialmente o nient'affatto risolti sul piano giudiziario, allorché nelle fasi di ricostruzione del caso le intenzioni autolesionistiche anche di tipo suicidario – assunte, sempre in fase di ricostruzione del caso, come ‘preesistenti’ e cioè come già presenti nella vita della (futura) vittima – siano siate considerate non direttamente riconducibili alle persecuzioni subite attraverso il web. Leggiamo così a pag. 36 del citato libro del Prof. S.Bolognini, a proposito del caso Amnesia di Padova – ossia il caso di una quattordicenne suicida la quale per lungo tempo, e con modalità comunicative molto violente e avvilenti che non hanno risparmiato neanche proposte oscene, allusioni pesanti, è stata oggetto di cyberbullismo sulla piattaforma social «Ask.fm» – dapprima alcuni squarci testuali che rendono efficacemente il senso della cupa crudele atmosfera di quella particolare interazione 'comunicativa' in cui si trovava coinvolta la ragazza quattordicenne:

 

«'Sei una ritardata, grassa e culona, fai finta di fumare, ma non aspiri, fai finta di bere, ma non bevi, fai finta di essere depressa per attirare l'attenzione, sei patetica' (43)».

 

 

E a seguire sempre a pag. 36 dell'opera citata del Prof. S.Bolognini, a proposito di quelle che nell’ambito delle indagini giudiziarie vengono tecnicamente definite fasi di “ricostruzione del caso”:

 

«Il caso è talmente eclatante che la Procura di Padova decide di aprire un'inchiesta "per atti relativi" sulla morte della ragazzina, senza indagati e precisi capi d'accusa che tuttavia, come esplicitano gli articoli di cronaca, in ipotesi potrebbero andare, viste le incitazioni ad uccidersi rivolte alla ragazza sul social, dai maltrattamenti all'istigazione al suicidio (l'inchiesta verrà archiviata agli inizi del settembre dello stesso anno perché, "secondo la ricostruzione del magistrato, le intenzioni suicide della ragazzina prescindevano dalle dinamiche della chat" (44), stante anche il fatto che dal social arrivarono, oltre alle istigazioni, offerte di aiuto»

 

[i numerici '(43)' e '(44)' interni ai paragrafi qui riportati si riferiscono a note bibliografiche su articoli di stampa; così testualmente: «(43) Bergamin, S. e Malfitano, C., Ragazza di 14 anni spinta a uccidersi dagli insulti su Ask.fm, in Il Mattino di Padova, 11 febbraio 2014.» e «(44) Cittadella, Ask.fm assolto per suicidio Nadia. Pm: "Cyberbullismo non c'entra", in blitz quotidiano, 3 settembre 2014.».

 

.

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Punto 14)

 

Il cyberbullismo e l’innesco a fine-zero.

Induzione alla depressione e al suicidio. Integrazione delle due varianti del bullismo.

 

 

14-1)

Ancora sul punto dello stato emotivo/umorale, depressione o altre condizioni di prostrazione, della vittima o del futuro suicida in relazione all'esposizione nel cyberspazio, è importante che assieme alla valutazione sul "se sia stata presente" o sul "se sia stata *già* presente" (fosse pure in modo latente) quella condizione, si tenga sempre in considerazione la capacità di "scatenamento", se non di vero e proprio "innesco" a fine-zero – un "innesco che non si disinnesca", infinito, con effetti sollecitatori e amplificatori a oltranza –, che è insito nel cyberbullismo. Ciò anche con significative differenziazioni rispetto al bullismo di tipo classico (quello che riguarda la relazione "faccia a faccia", la realtà fisica ovvero la fisicità reale, e, per dirla in breve, la vita della strada), e con differenze che permangono anche quando gli atti di prevaricazione si alternano tra modalità di bullismo tradizionale e modalità di cyberbullismo. Scrive il Prof. Silvio Bolognini nel citato libro sul cyberbullismo, circa la “integrazione” delle due varianti del bullismo (cfr. p.26):

 

«Si tratta senza dubbio dei casi, quelli che vedono integrarsi le due varianti del bullismo, più devastanti, in cui la violenza fisica subita è atrocemente rivissuta ogni giorno dalla vittima nell'agonia senza fine della demolizione psicologica e dello sgretolamento della propria identità, perpetrati nella dimensione digitale svincolata dai limiti dello spazio-tempo.

(..) Anche la persecuzione che origina e si esaurisce nel cyberspazio è tuttavia in misura drammaticamente crescente, come rilevato dalle ricerche richiamate nelle pagine precedenti, ragione sufficiente ad indurre la vittima alla depressione e al suicidio».

.

 

Considerazione laterale

14-2)

L’“urgenza delle urgenze”. A passo del ‘qui ed ora’ del web.

Del fatto che il cyberspazio – e con esso il cyber-ambiente e le cyber-relazioni – possegga in sé molteplici capacità di intrusività e di pesante condizionamento che, allo stato agito, influiscono sensibilmente sull'utente, come pure del fatto che quelle stesse capacità del cyberspazio possano giungere a danneggiare anche molto seriamente (e a volte irreversibilmente) l'unità psicofisica dell'utente quando questo sia un giovanissimo, un adolescente, un pre-adolescente, di questo si è qui in vari punti accennato, detto, riportato. Ma una volta che ciò sia stato detto e ridetto, e una volta che (bibliografie e rassegne-stampa alla mano) sia stato, pur con conforto, accertato quanto ormai sia copiosa tutta la letteratura, anche giornalistica ma non soltanto, che da anni non smette di occuparsi proprio delle tematiche legate alla violenza che corre sul web, nel cyberspazio e in particolare nei social network, qual è allora l'"urgenza delle urgenze"? Cosa urge fare per arginare quei fenomeni di violenza che passano per gli ormai onnipervadenti sistemi del web? Chi dovrebbe/deve fare qualcosa subito, per proteggere nella vita quotidiana i minori dalle conseguenze di quei perversi fenomeni, dagli effetti di quei sistemi 'a rete'?

 

== Le iniziative istituzionali che proprio in tema di prevenzione a bullismo/cyberbullismo sono state sino ad oggi (Maggio/Giugno 2019) prodotte e realizzate e/o che sono in via di attuazione risultano essere davvero molte; al riguardo, vedasi nella citata pubblicazione del Prof. Bolognini l’ampia Bibliografia di Fonti istituzionali di cui a pagina 229 e seguenti, nonché le molteplici note bibliografico-istituzionali di ogni capitolo della pubblicazione stessa.

 

== Si stanno per di più attivando, nell’attuale fine-semestre della prima parte dell’anno 2019, e attivando anche con una sensibile esposizione al sistema massmediatico delle ‘news’ quotidiane (per di più – particolare non secondario – rimarcate e ridiffuse più volte al giorno), delle precise iniziative a livello europarlamentare sulle questioni etiche e legali poste dagli sviluppi del web e delle applicazioni di Intelligenza Artificiale, e (notizia clamorosa in fatto di web) una serie di iniziative a livello governativo statunitense rivolte alle policy di giganti del web anch’essi statunitensi, iniziative che sarebbero state avviate su sollecitazione di associazioni a tutela dei diritti dei minori e che prevederebbero azioni di contrasto anche legale rivolte alla piattaforma-video ‘Youtube’ (motivazione: la piattaforma risulta «non aver tutelato adeguatamente i minori» e, per di più, «avrebbe anche acquisito in maniera impropria i dati degli utenti».] – Riguardo alla contestualizzazione che già, nel corrente testo di annotazioni, è stata fatta circa le notizie su tali iniziative, si rimanda il lettore ai paragrafi di cui ai punti 08-1-c) (>>), 09) (>> + >>) e (qui per completezza d'indicazione) il presente 14-2) (>> + >>).

 

== Per quanto invece riguarda i livelli più prossimi (più vicini) alle “digitazioni pericolose” dei minori, ci si riserva, senza pretesa di esaustività, di imbastire qualche paragrafo sulla (spesso grave e altrettanto spesso perniciosa) analfabetizzazione web-culturale dei genitori dei giovani cybernauti; e si intende qui, dunque, un genere di analfabetizzazione che non implica necessariamente, né la chiama in causa in via preferenziale, la qualità delle competenze di tipo web-tecnologico (che, anzi, sono soventemente praticate con abilità e con disinvoltura dai genitori). Si tratta e si tratterà di un’argomentazione che però dovrà intrecciarsi con altre variabili (forse anche impopolari da affrontare), variabili sociologiche che oltre alla genitorialità propriamente detta coinvolgono anche la “genitorialità vicaria”, ovvero che coinvolgono i ruoli di tutorialità facenti capo a:

 

a) nonni/nonne (ma anche fratelli/sorelle maggiori), specie quando il giovane o l’adolescente (o, ancora più, il bambino) non abbia, o non abbia più, vicino a sé i propri genitori;

 

b) varie figure sia della c.d. “famiglia allargata”, sia della “famiglia diversamente ri/composta” (in quest’ultimo caso anche con riferimento alle varie figure di ‘compagni’/’compagne’ facenti funzione di patrigni/matrigne);

 

c) (e ovviamente) anche tutori, vale a dire figure adulte alle quali per specifici provvedimenti di legge siano affidati i compiti di tutela del minore, quali per es. i tutori che operano all’interno di case-famiglia, di case di accoglienza e similari.

 

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Punto 15)

 

Se il “cyber” può far male – e molto – alla salute. I cyber-danni e i giovani di oggi.

Pressioni smart-tecnologiche e (quale) sostenibilità della fisiologia umana.

 

 

15-1)

I cyber-danni sulla salute umana e il “lungo strascico” sui giovani di oggi. // I condizionamenti delle menti, della salute tutta, della vita.

Qui in maniera sintetica si tracciano alcuni aspetti di problematicità dell’universo web-cyber che investono, in pieno, la salute. Si tratta di aspetti che incidono nettamente sul piano psico-fisico di tutti i più o meno assidui internettiani, e però, ovviamente, con risultati di “lungo strascico” nel corso degli anni soprattutto per i giovanissimi, per i preadolescenti e i bambini di oggi; i più evidenti effetti web/tecno-indotti sulla salute sono quelli che riguardano:

-       patologie cervicali ed errati posizionamenti dell’apparato vertebro-scheletrico;

-       abbassamento della vista;

-       alterazioni sia fisiologiche, sia organico-fisiologiche, dell’apparato visivo (per es.: “sindrome dell’occhio secco”);

-       episodi di stanchezza ricorrente, anche tendenzialmente cronicizzante;

-       mialgie, indolenzimento persistente delle fasce muscolari (a carico, ma non solo, delle parti del busto, degli arti superiori, del collo);

-       condizioni di affaticamento generale che possono comprendere anche sintomi importanti di debilitazione (con inclusione di: nausea, gastriti, perdita di appetito, problemi di insonnia e/o, per converso e reazione, di sonni troppo prolungati);

-       condizioni di affaticamento anche più serie, per alcuni versi assimilabili alle sindromi da miastenia;

-       condizioni generali di “burn-out”, che evidenziano un sostanziale stato di rigetto psico-fisico, una volta che l’organismo abbia raggiunto la sua particolare soglia di sopportabilità del carico e dell’intensità delle sue attività sul web.

E ancora:

-       sensibile diminuzione della capacità di concentrazione (a causa delle sistematiche e continue sollecitazioni interruttive a carico dei meccanismi dei circuiti neuronali deputati alla trasmissione delle informazioni che arrivano alla mente, ma anche a carico degli stessi processi mentali attraverso i quali si sedimentano i processi del pensiero);

-       ipereccitabilità, tic nervosi;

-       vuoti di memoria anche improvvisi.

 

E l’elenco può ancora continuare, con inclusione di molti altri effetti nocivi sulla salute, effetti che ormai sono stati ben individuati anche propriamente in ambito medico-scientifico.

Ben nota oggigiorno anche ai più, e non soltanto nell’ambito della clinica medica, è la c.d. “internet-addiction”, che rientra ormai nel ventaglio delle dipendenze psico-fisiche più rilevanti dei nostri tempi.

 

Quanto alla già summenzionata “sindrome da burn-out” da web (che peraltro è ormai materia specifica di alcune discipline di studi, quali la ‘medicina del lavoro’ e la ‘psicologia del lavoro’), meriterebbero un approfondimento anche quei casi di stress acuto web-correlato ai quali già la cronaca-stampa di questi ultimi anni ha avuto modo di dedicare qualche colonna: intere schiere di lavoratori aziendali (in Cina ma anche in altri Paesi), tra impiegati e tecnici, che a un certo punto “non ce l’hanno fatta più”, tanto che diversi di quei lavoratori hanno scelto il suicidio (piuttosto che dover continuare a lavorare a quelle condizioni disumane da web-stress).

 

Riservandosi, chi scrive, di ‘riesumare’ le rassegne stampa delle cronache su quei casi collettivi di “burn-out” web-indotto e con tanto di esiti suicidari, si suggerisce qui che gli effetti più rovinosi del web sulla vita dei più giovani (soprattutto dei più giovani) possano essere prospettati anche a partire da una interpretazione che abbia la sua centralità nel fattore ‘salute’. Salute da indagarsi, per l’appunto, in rapporto all’utilizzo del web.

 

Per quanto riguarda lo specifico ambito di frequentazione del web rappresentato dal mondo dei giovani, degli adolescenti e dei pre-adolescenti, si suggerisce in particolare che il rapporto “salute vs web” sia da indagarsi con attenzione sia in termini quantitativi – quante ore, in quali fasce orarie, con quali e quanti intervalli – sia in termini qualitatativi, con particolare riguardo alle ricadute che “i cattivi segnali”, “i cattivi messaggi”, “i lavaggi del cervello”, “i condizionamenti delle menti” (attuati – così come di fatto vengono attuati soprattutto in varie chat gestite da adulti – anche con modalità espressive di tipo scientemente perverso se non addirittura “satanico”) (*) possono determinare sulle complessive condizioni di salute del giovane.

 

►►► Qui sopra il riferimento, anche lessicale, è ancora a ben circostanziati passaggi dell’opera del Prof. Silvio Bolognini; cfr. pg. 38 (*), di cui già alle annotazioni del corrente testo contrassegnate Punto 10) (>>). Ci si soffermi, anche qui e in particolare, su quei passaggi dell’opera nei quali l’Autore descrive il gravissimo fenomeno delle ‘chat-suicide’ organizzate dalle “community della morte” gestite da adulti (il fenomeno delle cosiddette “balene blu” ossia del ‘Blue whale’, ma non soltanto quello), e nei quali passaggi, per l’appunto, si fa testuale riferimento ai «lavaggi del cervello», al fatto che «I tutor per portare al suicidio inviano video satanici, suicidi (..)», al «modo di condizionare le loro menti». Qui, sempre per comodità visiva del lettore, alcuni estratti di quei passaggi del Prof. Bolognini:

(*)

«L’ondata delle balene blu, come prevedibile nel villaggio globale e iperconnesso, non ha tardato a raggiungere il Sud America e l’Europa. (..) (..)

(..) uno psicologo ha spiegato che “chi arriva all’ultimo giorno viene celebrato dagli altri membri della comunità come un eroe. ‘(..) è un modo per fare il lavaggio del cervello dei giovani – spiega l’esperto – Chi partecipa al ‘gioco’ non deve dire nulla ai genitori né lasciare tracce in giro. I curatori hanno trovato il modo per condizionare le loro menti e la morte è l’unica soluzione per porre fine al Blue whale. I tutor per portare al suicidio inviano video satanici, suicidi, morti violente ai partecipanti in modo da condizionare le loro menti. I ragazzi che entrano a far parte di questa comunità perversa hanno tra i 9 e i 17 anni’ (…) (..)»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.38)

 

►►► Nella citata pubblicazione del Professor Bolognini, intitolata, lo si ricorda ancora, «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus), l’elemento del grave malessere psicofisico, e quindi del danno a carico delle condizioni di salute, indotto dalle vessazioni tramate e lanciate dal cyberspazio, e segnatamente dalle vessazioni di molti ‘social’, è sottolineato diffusamente. Vedasi in particolare laddove l’Autore passa in rassegna, analizza e commenta, una selezione dall’ampia casistica dell’autolesionismo giovanile, ivi compreso – e in risalto tematico nel libro, anche per le sue prevedibili evoluzioni – l’autolesionismo giovanile che esita nel suicidio (individuale e/o ‘social-ritualizzato’). Impressionanti, in quella selezione, le condizioni psico-fisiche nelle quali versano le giovani cyber-vittime, come per esempio nel caso di Julia Derbyshire, suicida a 16 anni nel 2015 (e figlia di Adrian Derbyshire, suicida a sua volta per il dolore straziante per la morte suicidaria della figlia) (cfr. p.31, op.cit.) e di svariati altri casi riportati nel libro.

 

Malessere e “star male” anche fino all’inverosimile, dunque, come risultati reali di quell’amplificazione della raffigurazione di sé e del proprio vissuto dato in pasto ai ‘social’, quell’amplificazione delle interrelazioni ‘social’ (interrelazioni virtuali e non autentiche se non nella loro stessa effimera-e-crudele virtualità) da un capo all’altro delle quali si snoda, spesso, la persecuzione. Una persecuzione, quella che ha luogo nel cyberspazio giovanile, che, come ben dimostrato dal Prof. Silvio Bolognini nella citata pubblicazione accademico-scientifica, si rivela decisamente più dannosa – fino ai danni estremi della depressione e del suicidio – della persecuzione perpetrata sul terreno del bullismo tradizionale.

 

«Si tratta senza dubbio dei casi, quelli che vedono integrarsi le due varianti del bullismo, più devastanti, in cui la violenza fisica subita è atrocemente rivissuta ogni giorno dalla vittima nell'agonia senza fine della demolizione psicologica e dello sgretolamento della propria identità, perpetrati nella dimensione digitale svincolata dai limiti dello spazio-tempo.

(..) Anche la persecuzione che origina e si esaurisce nel cyberspazio è tuttavia in misura drammaticamente crescente, come rilevato dalle ricerche richiamate nelle pagine precedenti, ragione sufficiente ad indurre la vittima alla depressione e al suicidio».

 (Silvio Bolognini, op.cit., p.26)

 

15-2)

La brusca progressione del mondo del web e del cyberspazio. Con quale sostenibilità per l’essere umano?

E con quali ulteriori ricadute sullo stato di salute (olisticamente inteso)?

Nell’arco di pochissimi anni a questa parte, tutto il mondo delle applicazioni web e delle applicazioni cyber e cyber-smart ad uso del “consumatore di IA”, ovvero di Intelligenza Artificiale (applicazioni, peraltro, “immesse” e calate sul mercato ma in realtà concepite e messe a punto ben prima nei laboratori e centri di ricerca tecnologici) si è evoluto enormemente, bruscamente nella sua gradualità accentuata, galoppante, con produzione di novità mirabolanti che sono state proposte o, più fattualmente, imposte al largo pubblico quasi da un giorno all’altro, da una settimana all’altra.

 

Con quale sostenibilità, però, da parte della ‘macchina-uomo’? Brutta espressione, questa, mutuata dallo stesso sistema che attenta alla condizione umana. Proviamo dunque a riformularla, quella espressione, e andiamo al dunque, ancora, del problema ‘salute vs web’: “Con quale sostenibilità da parte della fisiologia umana e dello stesso organismo umano?”.

 

Le possibili risposte a questa domanda, che ormai larga parte della gente comune si pone, sorgono pressoché spontaneamente ove si consideri l’ampia – sempre e sempre più ampia – e complicata – sempre e sempre più complicata – “offerta” di quelle novità mirabolanti, novità che si inseriscono nell’esistenza umana all’insegna del modello smart. Passiamone in rassegna almeno una parte: raffinatissimi circuiti chimico-elettrici che governano il comportamento dei molteplici sensori che stanno dentro uno smartphone, foss'anche di fascia 'basic'; circuiti e sensori che sempre più arrivano a interagire in modo strabordante con l'utente e il suo apparato fisiologico, ove solo si considerino, per esempio, i sensori che registrano l'intensità del respiro rendendoci di volta in volta ora l'apertura di una applicazione piuttosto che di un'altra, ora l’apparizione di una 'emoticon' sullo stato d'animo così come questo viene – peraltro arbitrariamente – registrato e classificato, o, ancora, l'altrettanto non richiesta proposta di una terapia e/o di un trattamento wellness se non addirittura di un farmaco che – di volta in volta e a seconda di come ci muoviamo e di come respiriamo davanti a un dispositivo web-connesso – viene sempre arbitrariamente associato a quello stesso nostro movimento, quella nostra stessa postura, quello stesso nostro respiro; tutto ciò, tutta questa ‘targetizzazione commerciale’ dell’organismo umano, sempre grazie al raffinato circuito dei microsensori.). || Qui un grande, importante, altro argomento da aprire ed affrontare in uno spazio dedicato è quello della “privacy vs. cyber-smartness” e viceversa (anche, per ciò che riguarda l’Italia, con riguardo alle raccomandazioni e Linee guida emanate dal Garante per la privacy e, altresì, con riguardo all’evoluzione della copiosa attività della Federprivacy): argomento ‘gemello’ di quello sul diritto alla inviolabilità dell’integrità psico-fisica di cui in parte si è già accennato. ||

 

Siamo dunque in presenza di complesse geometrie di reticolati di tracciamento/rilevamento e che, a fronte degli inputs degli utenti (assunti, sempre arbitrariamente, a “risorse”), rendono intrusivamente una molteplicità invasiva di sollecitazioni multisensoriali e nel contempo neuronali, che possono comportare conseguenze spiacevoli e addirittura dannose per lo stato di salute umano, anche olisticamente inteso (si considerino, per esempio, gli stati di iperattivazione e sovraeccitazione, ma anche il contrario, che si diramano dall’apparato neuronale ‘bersagliato’ da quelle sollecitazioni). C’è da chiedersi se, quanto e come, fino ad oggi, sia stato analizzato e soprattutto reso noto, a favore del pubblico/people (quel people assunto arbitrariamente a ‘smart’) e a favore delle sue possibilità di “tenuta” della propria salute, quel complesso di meccanismi 'tecno-sensoriali'.

 

C’è inoltre da chiedersi (con un interrogativo correlato a quello posto qui appena sopra) perché il picco degli esiti più infausti e tragici del malessere psico-fisico giovanile indotto dal web e dal cyber – finanche quel malessere che può esitare in un ultimo atto a causa di strane alchimie di “strutturazione tecnologica” (certo sapientemente veicolata per, si potrebbe dire con un’iperbole, “via intrapsichica”, o, più verosimilmente, per il tramite dell’operato di <<“sapienti nel loro campo” >>, <<“intelligenti e anche geniali” >>, ma perverse menti abilmente manovratici di altre menti, specie quelle dei giovanissimi) – sia, come si è attestato essere quello stesso picco di malessere, un fenomeno degli ultimi dieci anni (dieci circa) e non del decennio o dei decenni prima, quando già la tecnologia internet ad uso della popolazione comune esisteva ma era, quella tecnologia, senza “immissione di default” di meccanismi intrusivi di A.I., senza sensori, senza quell’insieme di microstrutture elettriche e chimico-elettriche che invece oggigiorno (2019 e prevedibilmente oltre) processano i 'sistemi naturali' di tipo fisiologico-sensoriale e dunque anche neuronali dell'utente umano.

 

In altre parole: si può ipotizzare, per il filone di ricerca sugli effetti ‘cyber’ più dannosi attuali e futuri/prefigurabili, un fattore di particolare innesco di quei processi che sia già ragionevolmente individuabile proprio nella intrusività dei meccanismi di I.A. e di sensori e di microprocessori vari sulla fisiologia dell'utente? Un innesco, perciò, che “fa male alla salute” e che (sempre nella chiave di indagine già suggerita, meramente suggerita) è verosimilmente un fattore importante all’interno della ‘multifattorialità’ causale degli autolesionismi giovanili web-indotti?

 

>> E ancora, con altra formulazione ma soprattutto con altra ‘chiave’ di domanda: il complesso dei disturbi da AI a carico della fisiologia umana (e quindi l’induzione di stress a carico dello stato più complessivo di salute, con aumento dell’eccitabilità, alterazione dei meccanismi nervosi e simili) in quale relazione è con l’aumento delle esasperazioni “cyber-interattive” e con l’aumento della stessa violenza cyber-mediata?

 

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Punto 16) == Da nota di rimando precedente, di cui al Punto 08) > 08-1).

 

Discrepanze tra mondi paralleli: il web, la scuola, la televisione.

La “crisi” dei giovani (cybernauti) e l’effetto di traino del ‘trash’ in tv. Il bullismo fra adulti, la sua spettacolarizzazione mediatica e il suo lavorìo nel mondo del web.

 

 

Nel libro del Prof. Bolognini viene sottolineata a più riprese, e con chiarezza, la necessità di addivenire ad azioni sistemiche nei programmi formativi rivolti a giovani ed adolescenti, azioni nelle quali possano trovare il  loro meritato posto programmi di educazione che abbiano la loro centratura, e il loro fondamento, in una valorizzazione delle istanze più profonde, ineludibili, dell’essere umano. Programmi che abbiano una prospettiva etica, etico-morale. Programmi che valorizzino l’intelligenza morale della persona, la persona del giovane, la persona dell’adolescente. Vedasi ancora, nell’opera «IL CYBERBULLISMO COME VOLTO DEMONIACO DEL POTERE DIGITALE E LE (POSSIBILI) POLITICHE DEL DIRITTO ANTIDOTO» (Giuffrè Editore, 2017; Pubblicazioni CE.DI.S. – Università e-Campus), la parte ‘3.1. L'"educazione morale" e le istanze provenienti dalle nuove prospettive etiche' (p. 178 e segg.). Sul tema, in particolare (dell'assenza) delle strategie di educazione che tendano a «promuovere una “riappropriazione” del proprio “Esserci nel mondo”», si invita ancora a una lettura meditata dei relativi passaggi, e in particolare dei passaggi a pagina 161 dell'opera del Prof. Bolognini, (già in precedenza evidenziati; ved. annotazioni al punto 04-L) e dei quali si riporta qui quanto segue:

 

«(..) Nello scenario delineato, in assenza di una strategia educativa tesa a promuovere una “riappropriazione” del proprio “Esserci nel mondo” (..) atta a riorientare il movimento fluido fra on line e real-time identity, è plausibile prospettare una progressiva esasperazione dello scivolamento delle identità create e validate dalla rete nel palcoscenico della società reale, con preoccupanti conseguenze – stante il crescente disimpegno morale che sembra caratterizzare le comunità virtuali laboratorio di auto-rappresentazione per le giovani generazioni – sulla diffusione di comportamenti anti-giuridici e sulla tenuta dello stesso ordinamento che disciplina la vita socialmente organizzata.(..)»

(Silvio Bolognini, op.cit., p.161)

 

Prospettive dunque basate su istanze etico-morali, anche in chiave di interpretazione laica, nella formazione e nell’educazione.

 

Considerato inoltre che sempre più, in una società altamente complessa e articolata anche sul piano massmediatico, il processo evolutivo dei giovani e dei giovanissimi passa, di fatto, non più soltanto attraverso l’attività formativa svolta dalle c.d. “agenzie educative”, tra le quali in primo piano il sistema educativo scolastico istituzionale, è importante, si torna qui a suggerire, che l’aspetto valoriale del fattore “educazione” venga adeguatamente indagato anche alla luce di altre rappresentazioni del ‘sociale-civico’: in particolare alle luce delle rappresentazioni che passano attraverso i contenuti dei palinsesti di quella che, in fatto di audience, è ancora la “regina dei media” e cioè la televisione.

 

Un capitolo a parte, su questo piano, dovrebbe essere sviluppato sull’argomento del trash televisivo propinato, da circa vent’anni a questa parte, dalle tanti trasmissioni con il pubblico in “viva diretta” (spesso anche con vernice di nobilitazione tematica delle trasmissioni stesse, che di volta in volta sfiorano ad esempio temi di norme e di legge, di prassi testamentarie, vita da condominio etc.), ‘trash’ televisivo che ha quasi normalizzato la pratica degli insulti urlati (anche tra intimi e familiari e, così presentati nello studio televisivo, “amici”) e delle parolacce, e che è andato sempre più caratterizzandosi per una insistita spettacolarizzazione della volgarità, per di più con regie di voyerismo insistito all’inverosimile sulle sguaiatezze in azione. Dovrebbe essere sviluppato, si è detto, un capitolo a parte su tale argomento, per far emergere l’indubbia e grande responsabilità che quei programmi di trash televisivo – e qui si intende ‘trash’ proprio nel senso di mondezza/immondizia, sul terreno morale ed estetico – e di bullismo fra adulti hanno avuto nel corso degli anni nell’ingenerare nei più piccoli, ovvero negli attuali giovani e adolescenti, il senso di un progressivo distacco dall’etica del rispetto. Quella normalizzazione della volgarità e dell’insulto, quel progressivo distacco e scollamento dai valori morali (e, si potrebbe anche semplicemente dire, dai princìpi di base dell’educazione civica), hanno “lavorato” nel mondo parallelo del web che intanto i giovanissimi telespettatori andavano frequentando, ed hanno solidificato, incistito, nei giovani e nei loro atteggiamenti comportamentali una confidenza, una dimestichezza abituale, con l’amoralità, con la scorrettezza, con la maleducazione. Ciò ha verosimilmente uno stretto collegamento con i tratti più acuti di disimpegno morale giovanile e con i conseguenti difetti di empatia (carenze, se non mancanze, di empatia).

 

|| Detto altrimenti: poteva mai quel bullismo tra adulti (bullismo per di più rimarcato dal ‘reality’ televisivo) non determinare progressive forme di bullismo tra i giovani? ||

 

E se per un giovane, un adolescente o un bambino, è diventato normale vedere “i propri genitori” agitarsi incontrollati in volgarità e sguaiatezze senza confine, peraltro vederli “premiati” (i) con il protagonismo televisivo e l’annessa, per quanto assai discutibile, visibilità, (ii) con il previo “benvenuto in studio”, un “benvenuto” che ha carattere di sostanziale legittimazione, e (iii) infine, ma non per ultimo, con il seguito dei molteplici rimandi sul web di quelle loro stesse esibizioni televisive, è allora davvero ancora procrastinabile una svolta “di policy etico-morale” anche nel campo televisivo? È davvero rinviabile a tempi futuri e incerti l’ardua missione di una bonifica (non già moralistica ma) saggiamente morale in quella che, di fatto, rappresenta quasi “un’agenzia formativa parallela” – rispetto alla scuola, agenzia formativa per eccellenza – e che per l’appunto è il sistema televisivo, peraltro sempre più smart H24 e ormai massicciamente interconnesso al mondo web e cyber e a tutto l’universo dei social network?

 

Con la considerazione di cui sopra, posta a mo’ di spunto argomentativo, viene auspicata una futura trattazione comparata del “bullismo sul web” (e/o trash sul web) e del “bullismo in tv” (e/o trash in tv).

 

 

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Marina Palmieri

 

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( mar.palmieri@alice.it )