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GIULIA CORRADETTI

::   L’artista di Funny Shapes   ::

- testo critico di Cristina Petrelli -

 

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GIULIA CORRADETTI

::   FUNNY SHAPES   ::

 

Studio Arte Fuori Centro, Roma

 

1-24 Dicembre 2009

 

 

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 "L’autenticità nella forma" - di Cristina Petrelli

 

 

Immagine - Rif.: GIULIA CORRADETTI "FUNNY SHAPES" - Studio Arte Fuori Centro, Roma 1-24 Dicembre 2009

Rif.: GIULIA CORRADETTI "FUNNY SHAPES"

Studio Arte Fuori Centro, Roma 1-24 Dicembre 2009

 

 

 

 

L’autenticità nella forma

-  di Cristina Petrelli  -

 

Il colore ispira la fantasia. Creare scale cromatiche è divertente, come può esserlo accostare fra loro tonalità diverse anche contrastanti. Il fatto di associare una certa gamma cromatica, gradevole e accattivante, a delle forme semplici, è alla base di molti giochi per bambini, specie quelli più piccoli. Il blocchetto colorato stimola la creatività, suggerisce la combinazione dei vari colori dando vita a tante forme differenti. In tal modo si mettono alla prova le proprie capacità e, in particolare, si sviluppano la manualità, il senso della spazialità, la logica e il ragionamento nel cercare di risolvere i problemi. Lo stesso principio orienta il modo di procedere di Giulia Corradetti.

Nello scolpire dei blocchi di gommapiuma l’artista ricava delle forme piuttosto semplici: sono dei parallelepipedi, dei cilindri arrotondati alle estremità oppure schiacciati e forati come fossero delle elementari ruote, o ancora dei cubi scavati. Solidi geometrici ottenuti lavorando un materiale artificiale, colorati con gli acrilici, che funzionano come fossero dei mattoncini da costruzione per bambini. Le sue istallazioni, dove questi elementi vengono disposti in maniera molto libera e vivace, sono un invito esplicito al gioco, inteso proprio quale forma di apprendimento. Attraverso la rielaborazione digitale l’artista realizza, inoltre, delle immagini che stampa su carta fotografica, impiegando anche il plexiglass come supporto, oppure utilizza quali fotogrammi da montare per dar vita a delle video-animazioni. Nella proiezione del suo lavoro animato viene accentuato l’aspetto più giocoso e divertente, tramite l’uso di una colonna sonora appositamente composta per le sue immagini, come nel caso del brano “Gomma Spina” del gruppo Segnali di Ripresa.

Giulia Corradetti genera un mondo incantato dove porta a convivere le sue forme artificiali, ottenute scolpendo e colorando la gommapiuma, con altre naturali. Nelle sue immagini, infatti, si avvale anche di fotografie che lei stessa scatta a delle piante grasse; si tratta principalmente di cactus. Negli ibridi nati da questa unione vengono accentuate le qualità tattili dei materiali impiegati. Ne consegue che le caratteristiche in aperto contrasto fra di loro risultano maggiormente evidenti, come il morbido della gommapiuma associato allo spinoso del cactus, rimandando anche alla dualità insita nella natura umana. Questa attenzione alla texture costituisce, però, nel lavoro dell’artista, solo l’approccio iniziale, quello più rapido e superficiale. L’analisi del particolare (artificiale o naturale), che arriva ad essere anche soggetto autonomo di alcune sue opere, suggerisce l’invito a non fermarsi all’apparenza delle cose e ad andare più a fondo.

Nell’associare gli elementi in una forma vincolata il referente più diretto è quello della realtà fisica che tutti noi conosciamo. In questo modo Corradetti dispone i suoi ibridi a creare una nuova realtà dove l’artificiale convive con il naturale manifestandosi in differenti modi. Gli elementi assemblati fra di loro, come se formassero un nuovo alfabeto, costituiscono delle ambientazioni, sorta di landscapes, dove a ognuno viene assegnato uno specifico ruolo, dalla pianta all’animale alla casa. Un modo intelligente, quello della presunta verosimiglianza, per consentire a tutti una chiave di lettura o ancora meglio un punto di contatto con l’artista, affinché si possa accedere all’interno della sua poetica.

Il richiamo al mondo vegetale, all’animale e a quello propriamente umano è esplicito nelle forme create dall’artista. Ne “La casa di prato” si trova espresso un concetto elementare di abitazione: quattro pareti e un tetto a spioventi. L’estrema semplicità della forma non toglie al soggetto alcuna delle sue caratteristiche e, in relazione alla perizia esecutiva dove ogni particolare viene curato, il prato che appare soffice e fertile comunica una sensazione di accogliente e rilassante tranquillità. L’osservare questa piccola dimora dalle pareti rivestite di prato rende consapevoli di come si debba apprezzare ciò che viene offerto dalla natura senza finire per stravolgerlo con assurde stranezze e complicazioni.

Nell’applicare il principio dell’apprendimento mediante il gioco, l’artista mette a disposizione solo alcuni elementi che consentono di essere assemblati per creare qualcosa di più complesso, ma senza esagerazioni, e permettono sempre il ritorno alla forma di partenza. Lo stimolo offerto dalla forma e dal colore degli elementi invita a incastrarli fra di loro, accostarli, sovrapporli al fine di formare una struttura nuova, differente. Questo processo mette alla prova le capacità di ognuno e nello stesso tempo proietta in un’idea di sviluppo orientato all’evoluzione che è propria dell’uomo. Fra tutte le forme viventi quella umana è superiore alle altre in virtù delle facoltà dell’intelletto e del ragionamento, che devono però essere usate con lungimiranza.

Nell’osservare le forme sviluppate da Giulia Corradetti questo principio trova chiarimento: i segni della lavorazione sulla superficie sono un richiamo esplicito alla manualità necessaria a creare una struttura articolata che non può, però, svilupparsi oltre un certo punto, a causa del limite imposto dalla morfologia stessa degli elementi impiegati.

Il lavoro dell’artista suona come un monito ad applicare le potenzialità dell’uomo per ricercare l’armonia che è data dalla consapevolezza dell’essere parte di un tutto in costante equilibrio, mettendo in guardia dagli eccessi che inducono ad andare contro natura, producendo aberrazioni che portano a forme estreme, come in certi sviluppi della chirurgia estetica, della genetica o della tecnologia. Alla luce di questo, la nostra semplice “casa di prato” può rimandare anche al Dolmen, a quella primitiva forma di costruzione dove appoggiando orizzontalmente una pietra su due sostegni verticali si esprimeva già in potenza quello che sarebbe potuto essere lo sviluppo successivo. Da necessario riparo a tomba, il Dolmen testimonia l’importante pratica della sepoltura che comporta il riconoscimento del luogo dei morti quale spazio sacro in cui si è prossimi al divino. Un processo complesso che passa per una forma semplice, come avviene anche in un altro “oggetto” al quale sin dall’antichità viene assegnato un valore simbolico tendente al trascendente: il “Totem”. Un soggetto presente nell’ultima produzione dell’artista che, seppur in una versione più ironica e disimpegnata, dichiara come nella semplicità di una forma alberghi l’autenticità.

Ne “La ruota dell’amore” vediamo un meccanismo costituito da due ruote unite da un asse centrale. Una ruota viene fatta girare da un topolino che corre in una direzione, mentre l’altra di fatto risulta ferma in quanto i due topolini che vi si trovano sopra procedono in senso opposto.

L’artista, anche in questo caso, carica l’immagine di un valore spirituale, illustrando due principi fondamentali della filosofia buddista appartenente alla scuola di Nichiren Daishonin basata sul “Sutra del Loto”. Il topolino che procede in un’unica direzione rappresenta lo spirito di itai-doshin (diversi corpi – stessa mente). Il buddismo dice che non è mettendosi d’accordo, nel senso di pensarla allo stesso modo su una questione o desiderare la stessa cosa, che si realizza l’unità di itai-doshin. Soltanto sviluppando la stessa condizione vitale rispetto a un obiettivo è possibile istaurare dei legami che vanno al di là della comune amicizia. Ottenere doshin significa riuscire ad avere lo «stesso cuore/mente», e per «stessa mente» si intende la mente del Budda, solo questo consente di creare una straordinaria solidarietà tra le persone a un livello profondo della vita.

I due topolini che si muovono verso direzioni opposte rappresentano, al contrario, lo spirito di itai-ishin (diversi corpi – diverse menti). Questo termine indica la disunità, nel senso di avere differenti non solo l’aspetto e l’indole, ma anche i cuori. L’espressione una «mente diversa» si riferisce a coloro che rompono l’armonia fra i credenti venendo guidati unicamente dal proprio egoismo.

L’essere di credo buddista, come l’artista, trasforma l’immagine in un messaggio dal valore universale, ma anche per coloro che non abbracciano questa religione i concetti che vi sono contenuti rappresentano dei principi di comportamento che possono essere facilmente compresi e condivisi da tutti. Agire guidati dall’egoismo, perseguendo solo il proprio guadagno personale, provoca un atteggiamento egocentrico ed antagonista nei confronti degli altri che produce gelosia, odio, insoddisfazione. Nel perseguire, invece, un obiettivo comune, con il medesimo intento e gli stessi valori, pur avendo ognuno un proprio carattere, fisionomia, posizione sociale, il singolo riesce ad armonizzarsi fra le altre persone.

Ne “La ruota dell’amore” trova applicazione il concetto di come numerose persone, con caratteristiche e peculiarità proprie, quando agiscono con lo stesso cuore sprigionano una forza che da sole non avrebbero.

Nel suo rivelarsi, l’arte di Giulia Corradetti contiene un invito a riflettere sul senso della vita e sul ruolo di ognuno di noi in essa.

 

 

 

 

Rif.:  Studio Arte Fuori Centro - Via Ercole Bombelli 22, Roma - 06.5578101 - 328.1353083 - info@artefuoricentro.it - www.artefuoricentro.it

 

 

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