L’autenticità nella forma
- di Cristina Petrelli
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Il colore ispira la fantasia.
Creare scale cromatiche è divertente, come può esserlo accostare fra loro
tonalità diverse anche contrastanti. Il fatto di associare una certa gamma
cromatica, gradevole e accattivante, a delle forme semplici, è alla base di
molti giochi per bambini, specie quelli più piccoli. Il blocchetto colorato
stimola la creatività, suggerisce la combinazione dei vari colori dando
vita a tante forme differenti. In tal modo si mettono alla prova le proprie
capacità e, in particolare, si sviluppano la manualità, il senso della
spazialità, la logica e il ragionamento nel cercare di risolvere i
problemi. Lo stesso principio orienta il modo di procedere di Giulia
Corradetti.
Nello scolpire dei blocchi di
gommapiuma l’artista ricava delle forme piuttosto semplici: sono dei
parallelepipedi, dei cilindri arrotondati alle estremità oppure schiacciati
e forati come fossero delle elementari ruote, o ancora dei cubi scavati.
Solidi geometrici ottenuti lavorando un materiale artificiale, colorati con
gli acrilici, che funzionano come fossero dei mattoncini da costruzione per
bambini. Le sue istallazioni, dove questi elementi vengono disposti in
maniera molto libera e vivace, sono un invito esplicito al gioco, inteso
proprio quale forma di apprendimento. Attraverso la rielaborazione digitale
l’artista realizza, inoltre, delle immagini che stampa su carta
fotografica, impiegando anche il plexiglass come supporto, oppure utilizza
quali fotogrammi da montare per dar vita a delle video-animazioni. Nella
proiezione del suo lavoro animato viene accentuato l’aspetto più giocoso e
divertente, tramite l’uso di una colonna sonora appositamente composta per
le sue immagini, come nel caso del brano “Gomma Spina” del gruppo Segnali
di Ripresa.
Giulia Corradetti genera un
mondo incantato dove porta a convivere le sue forme artificiali, ottenute
scolpendo e colorando la gommapiuma, con altre naturali. Nelle sue
immagini, infatti, si avvale anche di fotografie che lei stessa scatta a
delle piante grasse; si tratta principalmente di cactus. Negli ibridi nati
da questa unione vengono accentuate le qualità tattili dei materiali
impiegati. Ne consegue che le caratteristiche in aperto contrasto fra di
loro risultano maggiormente evidenti, come il morbido della gommapiuma
associato allo spinoso del cactus, rimandando anche alla dualità insita
nella natura umana. Questa attenzione alla texture costituisce,
però, nel lavoro dell’artista, solo l’approccio iniziale, quello più rapido
e superficiale. L’analisi del particolare (artificiale o naturale), che arriva
ad essere anche soggetto autonomo di alcune sue opere, suggerisce l’invito
a non fermarsi all’apparenza delle cose e ad andare più a fondo.
Nell’associare gli elementi
in una forma vincolata il referente più diretto è quello della realtà
fisica che tutti noi conosciamo. In questo modo Corradetti dispone i suoi
ibridi a creare una nuova realtà dove l’artificiale convive con il naturale
manifestandosi in differenti modi. Gli elementi assemblati fra di loro,
come se formassero un nuovo alfabeto, costituiscono delle ambientazioni,
sorta di landscapes, dove a ognuno viene assegnato uno specifico
ruolo, dalla pianta all’animale alla casa. Un modo intelligente, quello
della presunta verosimiglianza, per consentire a tutti una chiave di
lettura o ancora meglio un punto di contatto con l’artista, affinché si
possa accedere all’interno della sua poetica.
Il richiamo al mondo
vegetale, all’animale e a quello propriamente umano è esplicito nelle forme
create dall’artista. Ne “La casa di prato” si trova espresso un concetto
elementare di abitazione: quattro pareti e un tetto a spioventi. L’estrema
semplicità della forma non toglie al soggetto alcuna delle sue
caratteristiche e, in relazione alla perizia esecutiva dove ogni
particolare viene curato, il prato che appare soffice e fertile comunica
una sensazione di accogliente e rilassante tranquillità. L’osservare questa
piccola dimora dalle pareti rivestite di prato rende consapevoli di come si
debba apprezzare ciò che viene offerto dalla natura senza finire per stravolgerlo
con assurde stranezze e complicazioni.
Nell’applicare il principio
dell’apprendimento mediante il gioco, l’artista mette a disposizione solo
alcuni elementi che consentono di essere assemblati per creare qualcosa di
più complesso, ma senza esagerazioni, e permettono sempre il ritorno alla
forma di partenza. Lo stimolo offerto dalla forma e dal colore degli
elementi invita a incastrarli fra di loro, accostarli, sovrapporli al fine
di formare una struttura nuova, differente. Questo processo mette alla
prova le capacità di ognuno e nello stesso tempo proietta in un’idea di
sviluppo orientato all’evoluzione che è propria dell’uomo. Fra tutte le
forme viventi quella umana è superiore alle altre in virtù delle facoltà
dell’intelletto e del ragionamento, che devono però essere usate con
lungimiranza.
Nell’osservare le forme
sviluppate da Giulia Corradetti questo principio trova chiarimento: i segni
della lavorazione sulla superficie sono un richiamo esplicito alla
manualità necessaria a creare una struttura articolata che non può, però,
svilupparsi oltre un certo punto, a causa del limite imposto dalla
morfologia stessa degli elementi impiegati.
Il lavoro dell’artista suona
come un monito ad applicare le potenzialità dell’uomo per ricercare
l’armonia che è data dalla consapevolezza dell’essere parte di un tutto in
costante equilibrio, mettendo in guardia dagli eccessi che inducono ad
andare contro natura, producendo aberrazioni che portano a forme estreme,
come in certi sviluppi della chirurgia estetica, della genetica o della
tecnologia. Alla luce di questo, la nostra semplice “casa di prato” può
rimandare anche al Dolmen, a quella primitiva forma di costruzione dove
appoggiando orizzontalmente una pietra su due sostegni verticali si
esprimeva già in potenza quello che sarebbe potuto essere lo sviluppo
successivo. Da necessario riparo a tomba, il Dolmen testimonia l’importante
pratica della sepoltura che comporta il riconoscimento del luogo dei morti
quale spazio sacro in cui si è prossimi al divino. Un processo complesso
che passa per una forma semplice, come avviene anche in un altro “oggetto”
al quale sin dall’antichità viene assegnato un valore simbolico tendente al
trascendente: il “Totem”. Un soggetto presente nell’ultima produzione
dell’artista che, seppur in una versione più ironica e disimpegnata,
dichiara come nella semplicità di una forma alberghi l’autenticità.
Ne “La ruota dell’amore”
vediamo un meccanismo costituito da due ruote unite da un asse centrale.
Una ruota viene fatta girare da un topolino che corre in una direzione,
mentre l’altra di fatto risulta ferma in quanto i due topolini che vi si
trovano sopra procedono in senso opposto.
L’artista, anche in questo
caso, carica l’immagine di un valore spirituale, illustrando due principi
fondamentali della filosofia buddista appartenente alla scuola di Nichiren
Daishonin basata sul “Sutra del Loto”. Il topolino che procede in un’unica
direzione rappresenta lo spirito di itai-doshin (diversi corpi –
stessa mente). Il buddismo dice che non è mettendosi d’accordo, nel senso
di pensarla allo stesso modo su una questione o desiderare la stessa cosa,
che si realizza l’unità di itai-doshin. Soltanto sviluppando la
stessa condizione vitale rispetto a un obiettivo è possibile istaurare dei
legami che vanno al di là della comune amicizia. Ottenere doshin significa
riuscire ad avere lo «stesso cuore/mente», e per «stessa mente» si intende
la mente del Budda, solo questo consente di creare una straordinaria
solidarietà tra le persone a un livello profondo della vita.
I due topolini che si muovono
verso direzioni opposte rappresentano, al contrario, lo spirito di itai-ishin
(diversi corpi – diverse menti). Questo termine indica la disunità, nel
senso di avere differenti non solo l’aspetto e l’indole, ma anche i cuori.
L’espressione una «mente diversa» si riferisce a coloro che rompono
l’armonia fra i credenti venendo guidati unicamente dal proprio egoismo.
L’essere di credo buddista,
come l’artista, trasforma l’immagine in un messaggio dal valore universale,
ma anche per coloro che non abbracciano questa religione i concetti che vi
sono contenuti rappresentano dei principi di comportamento che possono
essere facilmente compresi e condivisi da tutti. Agire guidati
dall’egoismo, perseguendo solo il proprio guadagno personale, provoca un
atteggiamento egocentrico ed antagonista nei confronti degli altri che
produce gelosia, odio, insoddisfazione. Nel perseguire, invece, un
obiettivo comune, con il medesimo intento e gli stessi valori, pur avendo
ognuno un proprio carattere, fisionomia, posizione sociale, il singolo
riesce ad armonizzarsi fra le altre persone.
Ne “La ruota dell’amore”
trova applicazione il concetto di come numerose persone, con
caratteristiche e peculiarità proprie, quando agiscono con lo stesso cuore
sprigionano una forza che da sole non avrebbero.
Nel suo rivelarsi, l’arte di
Giulia Corradetti contiene un invito a riflettere sul senso della vita e
sul ruolo di ognuno di noi in essa.
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