COMUNICARECOME

Portale di comunicazione

e d’informazione indipendente

postmaster@comunicarecome.it

Home  -  Presentazione  -  Panoramica di lettura  -  E-mail / Contatti  -  Links  -  Newsletter

Comunicazioni di massa  -  Comunicazione d’impresa & Cultura d'impresa  -  Mission e valori d’impresa

Salute / Divulgazione scientifica - Scienza e Scienze  -  Benessere naturale  -  A tutela della natura

Arte e Letteratura  -  Socie  -  Pianeta Informatica e Multimedialità  -  Viaggi e Turismo  -  Abitare l’Incanto

Campagne, Appelli, Petizioni  -  “Salto in lungo”: storie di donne e uomini del nostro tempo  -  Fari Universali

Vetrina Publishing  -  Vetrina Iniziative  -  Concorsi e Premi  -  Spazio Solidarietà

CATALOGO-Settori >>

 

 

ARTE E LETTERATURA

 

____DALL’ARCHIVIO DI COMUNICARECOME____

Saggi per Inserti Cultura

 

Salvatore Quasimodo.

L’impeto nella storia, l’intuizione oltre il tempo.

- di Marina Palmieri - Info Pubblicazioni_"Salvatore Quasimodo. L'impeto nella storia, l'intuizione oltre il tempo."_di Marina Palmieri
www.COMUNICARECOME.it
Saggi per Inserti Cultura

 

Vita e opere poetiche.

95 anni fa nasceva a Modica (Ragusa) Salvatore Quasimodo. Visse l’infanzia e l’adolescenza fra Messina e Palermo seguendo il padre, ferroviere, nei suoi frequenti spostamenti. Diplomatosi geometra, si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria di Roma, poi abbandonata a causa di difficoltà economiche. Impiegato, per dodici anni, al Genio Civile, si dedicò in seguito all’insegnamento. I suoi diversi lavori lo portarono quindi a vivere in diverse regioni italiane. A Firenze, nel ’29, ‘Totò’ fu presentato dal cognato Vittoriani al gruppo degli intellettuali di “Solaria”: proprio sull’omonima rivista venne pubblicata Acqua e terre, la sua prima raccolta di poesie, cui seguirono Oboe sommerso e Odore di eucalyptus e altri versi nel ’32. Nel ’34 si stabilì a Milano. Qui, dopo un breve periodo di attività giornalistica presso la redazione de “Il Tempo”, ottenne la cattedra di letteratura italiana al Conservatorio G. Verdi: era il ’41, e alla “chiara fama” sancitagli col prestigioso conferimento aveva decisamente contribuito la lunga eco del successo di Erato e Apollion, uscito nel ’36, col quale era stato consacrato come uno dei massimi esponenti dell’ermetismo. Nel ’42 venne pubblicata Ed è subito sera (in cui confluirono le “Nuove poesie, 1936-1940”). L’entusiastico e diffuso accoglimento dell’opera decretò per Quasimodo l’indiscusso prestigio nel panorama letterario.

La guerra e la resistenza determinarono un accostamento sempre più ravvicinato alla politica: l’impegno si manifestò, oltre che nell’adesione per qualche tempo al P.C.I., in una precisa esigenza di letteratura “impegnata”. Nella raccolta Con il piede straniero sopra il cuore, che uscì nel ’46, l’ispirazione è fortemente orientata agli ideali della Resistenza. Seguirono Giorno dopo giorno nel ’47, La vita non è un sogno nel ’49, Il falso e vero verde nel ’56, La terra impareggiabile nel ’58, sempre molto significative di quella esigenza d’impegno. Un’esigenza tanto intimamente sentita che Quasimodo volle ribadire in occasione della consegna del Premio Nobel per la Letteratura, nel ’56, col discorso Il poeta e il politico che affermava la necessità di una responsabilizzazione politica di tutta la letteratura per una “ricostruzione dell’uomo frodato dalla guerra”. Punti forti di questa responsabilizzazione: il contenuto e una “nuova tecnica che prelude a un linguaggio concreto, che riflette il reale”.

Nel ’66 uscì la raccolta Dare e avere, ultima opera del poeta prima della morte avvenuta a Napoli, nel ’68.

 

La parabola etico-poetica.

Raffinato cantore di un bene perduto, di quel paradiso mitologico rappresentato dalla Sicilia e dall’infanzia, è il Quasimodo dell’esordio in Acque e Terre (’30): A te ignota è la terra / dove ogni giorno affondo / e segrete sillabe nutro, sospirano i versi di “Vento a Tindari”. Un Quasimodo assertore del valore magico della parola poetica, tutto teso verso una vibratile armonia di ritmi e suoni, secondo un sentire che sempre più, in Oboe sommerso (’32) e esemplarmente in Erato e Apollion (’36), venne risolvendosi nella più alta lezione dell’ermetismo: con un rigorismo e un preziosismo che, ben lontani dal cliché della “torre d’avorio”, definirono una presa di distanza dallo sbando e dal chiasso del periodo storico, affidandone l’elaborazione al filtro di una parola sapientemente scarnificata. Una parola che il Quasimodo avvertirà prima di tutto come dono eccezionale e tremendo, una sorta di missione laica per le forti implicazioni di responsabilità nel disvelare alla coscienza degli altri uomini ogni bagliore di verità captata o anche solo messa a fuoco. Non mancarono, tuttavia, le discordanti reazioni di chi vedeva nella parola riecheggiata e flautata del poeta siciliano un realismo che rimaneva sostanzialmente “anemico”; più dialettici altri critici, che individuarono in quella poetica un dualismo tra “dato e mito”, come Barberi Squarotti (1).

La visibilità della svolta quasimodiana verso un “notevole anche se non esclusivo impegno di poesia civile” (G. Contini) si ebbe nel ’46 con l’uscita de Con il piede straniero sopra il cuore, la raccolta poetica ispirata ai valori della Resistenza, cui nello stesso decennio seguirono Giorno dopo giorno (’47) e La vita non è un sogno (’49). Il cordone con la poesia dell’Arcadia era oramai decisamente reciso: i versi di Quasimodo avevano assimilato tutto il respiro corto della morte, la palpitazione della desolazione, sormontandosi a colpi di lucido sconforto: Non ho più ricordi, non voglio ricordare; / la memoria risale dalla morte, / la vita è senza fine. Ogni giorno / è nostro.. (“Quasi un madrigale”), e la visione della carneficina non dava tregua alla sua coscienza, convinta più che mai di dover tramandare fino in fondo la memoria del dolore, prima che gli uomini, fosse solo per pietà, si disponessero a dimenticare e perdonare (Tutto si travolge, ma i morti non si vendono.) Sottile e lapidaria, la parola di Quasimodo va così sempre più disponendosi in orditi cronachistici per narrare il dramma delle esperienze umane del suo tempo. Come l’esperienza di Auschwitz in Il falso e vero verde (’56), e come quella dei nuovi orrori del tecnicismo, delle bombe atomiche, della moderna “Arca della distruzione”, in La terra impareggiabile (’58). Ed è proprio in quest’ultima raccolta che Quasimodo tornerà, forte d’un rinnovato vitalismo, a riallacciarsi alle memorie e alle suggestioni della propria isola, con un accento lirico giudicato fra i più convincenti del suo itinerario poetico, specie nelle rivisitazioni di sapore più intimistico come quella dedicata “Al Padre”: Dove sull’acque viola / era Messina, tra fili spezzati / e macerie tu vai lungo binari / e scambi col tuo berretto di gallo isolano. Il terremoto ribolle / da tre giorni, è dicembre d’uragani / e mare avvelenato. (..) (..) Oscuramente forte è la vita. Su tanto macerante contrasto (rigetto del bellicismo tecnologico/passione struggente per la propria terra) tuttavia, ecco sopraggiungere il passo di una presenza pacificatrice: la fiducia nell’intelligenza laica.

Una presenza che aprirà sempre più il varco a una nuova forma di saggezza, quella che nel ’66, nel viaggio poetico-biografico di Dare e avere, mostrerà il timbro misurato d’una coscienza ormai approdata a una serena semplificazione: Scrivo parole e analogie, tento / di tracciare un rapporto possibile / tra vita e morte. (“Il silenzio non m’inganna”); Forse muoio sempre. / Ma ascolto volentieri le parole della vita / che non ho mai inteso, mi fermo / su lunghe ipotesi. (“Ho fiori e di notte invito i pioppi”). È lo sguardo di un uomo che sfiora tranquillo il frutto di una volontà che non ha mai risparmiato le sue forze ma, ormai, anche cosciente di aver detto tutto quello che di essenziale c’era da dire, forse già nel presentimento della morte che, col colpo letale di un secondo infarto, lo sorprenderà ad Amalfi solo due anni dopo.

 

Una mente eclettica, una personalità difficile.

Non si può poi non ricordare l’intensa attività svolta da Quasimodo, parallelamente a quella strettamente poetica, di traduzione: quella dei Lirici greci (’40) soprattutto, sommamente stimata dalla critica per l’equilibrio di purezza e di semplicità. A questa seguirono traduzioni di Omero, Virgilio, Catullo, dell’Antologia Palatina, come pure di Shakespeare e di Neruda, grande estimatore e amico del poeta siciliano.

Pure, non può essere taciuta la fervida produzione di critica teatrale svolta da Quasimodo per “Omnibus” e “Il Tempo”: quasi centocinquanta articoli che coprono dieci anni di teatro, raccolti nel ’61 nel volume Scritti sul teatro.

Una produzione che non si piegò mai alla semplice divagazione né al facile entusiasmo per gli avanguardismi puramente formali (2).

Presentazioni di mostre, apporti critici a prestigiosi cataloghi, presenze attive in convivi artistici: Quasimodo frequentò e divenne amico di diversi pittori e scultori del suo tempo (fra i quali Agenore Fabbri, Lucio Fontana, Wilfredo Lam). Ambiente particolarmente congeniale, quello artistico, per dar sfogo agli impulsi della sua natura istrionica, suscettibile, come quello - testimoniatoci da una fiorita aneddotica – che lo ritrae commensale difficilissimo, intransigente come un giustiziere a tavola, fino a scaraventare i piatti nelle sale dei ristoranti. Ma anche piacevole compagnia, con le sue battute argute, la sua sincerità estrema. E capace di profonda generosità con gli amici-artisti più disinteressati. Con molti dei quali condivise parecchi ricordi e esperienze di ristrettezze economiche, con quello spirito di reciprocità che al primo infarto, privo com’era di un’assistenza mutualistica, gli valse un lungo ricovero presso un ospedale di Mosca pagato interamente (sette milioni di lire, allora) da un gruppo di artisti e scrittori russi. (3)

 

La parola secondo Quasimodo: quale attualità?

“Un grande poeta, come un grande scrittore, si deve interessare di tutta la società del proprio periodo: le sue opere devono essere valutate per quello che dicono della società e alla società in cui vivono” (4), affermò in diverse occasioni Salvatore Quasimodo, ribadendo l’indicazione d’una funzione attiva e responsabile della parola. È, oggi, ancora valida quella indicazione? Si può parlare di “attualità” in Quasimodo? La questione si pone da sé se consideriamo per un attimo lo stato della poesia contemporanea, ridotta spesso a gioco elitario, a puro artifizio fonico-verbale, per la quale non pochi degli osservatori più attenti parlano ormai di “fine di un’epoca”. “Chi può ancora meravigliarsi che la poesia non riesca ad interessare il grande pubblico, se essa si ostina ad offrirgli il vuoto, anziché degnarsi di trattare i veri, brucianti, paurosi problemi esistenziali dell’uomo d’oggi? Sembra anzi che vi sia un tacito accordo fra i poeti per evitare accuratamente tutti i problemi..” (5).

Come riecheggia, oggi, la provocazione di Quasimodo quando dichiarava che piuttosto di usare certe frasi banali o retoriche “si sarebbe fatto fucilare all’una di notte senza aspettare l’alba”! (6): una tagliente polemica con i neoformalismi di allora e con quelli che (intuito di poeta?) si sarebbero prevedibilmente affacciati nei decenni immediatamente successivi.

Marina Palmieri

 

 

 

Riferimenti bibliografici

 

(1)     cfr. Giuliano Manacorda, “Storia della letteratura italiana contemporanea” (1940-1975), Ed. Riuniti, Roma 1977, p.169; L. Pignotti, “La situazione”, 1958, n.5; Barberi Squarotti, “Momenti”, 1958, n.6.

(2)     Arnaldo Frateili, “Scritti sul teatro di Salvatore Quasimodo” su “Libri”, supplemento di lettere scienze e arti di Paese Sera, 9.9.1961.

(3)     Aneddotiche in “L’avventura artistica di Albisola”, a cura di Luciano e Margherita Gallo Pecca, Editrice Liguria, Savona 1993.

(4)     “Il parere di quattro scrittori”, su “Il contemporaneo”, 18.6.1955, p.4.

(5)     Veniero Scarselli, “Perché non ri-definiamo la poesia”, Tribuna Letteraria n.38, 1995, p.6. Per una disamina dell’argomento vd. Pure Silvano Demarchi, “Sperimentazione e criptolinguaggio”, Tribuna Letteraria n.37, 1995, pp.9-10.

(6)     Gilberto Finzi, “Ma Lei i libri li legge davvero, Professore?”, su “Millelibri”, aprile 1991, p.34.

 

 

-----------------------------

 

Info Pubblicazioni:

l’informatorecultura” - Supplemento n°1 all’Informatore Vigevanese n°39 del 26 settembre 1996 / dispensa 7

 

 

<  Back to Saggi per Inserti Cultura / Area Arte e Letteratura

<  Back to Area Arte e Letteratura

 

 

www.COMUNICARECOME.it

Resp.: Marina Palmieri

All rights reserved - Tutti i diritti riservati

 

Back to Home

 

Back to Inizio pagina corrente