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DIABETE E AUTOCONTROLLO DELLA GLICEMIA

 

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SALUTE / DIVULGAZIONE SCIENTIFICA

 

____DALL’ARCHIVIO DI COMUNICARECOME____

 

DIABETE E AUTOCONTROLLO DELLA GLICEMIA

 

Un semplice test per una gestione costante e flessibile della condizione diabetica. Quali accorgimenti quotidiani rendono possibile vivere serenamente e senza troppi condizionamenti col disturbo diabetico. E ancora: sport come elemento cardine della terapia diabetica. La testimonianza di Sir Steven Redgrave, diabetico 5 volte campione olimpionico di canottaggio.

 

-         di Marina Palmieri    -  Info Pubblicazioni, Diabete

 

 

L’autocontrollo quotidiano e regolare dei livelli glicemici è uno strumento essenziale per tenere sotto controllo il diabete e, in particolare, il rischio di complicanze diabetiche. Il monito è stato lanciato da eminenti diabetologi nel corso di una recente conferenza stampa tenutasi a Milano, occasione preziosa per fare il punto della situazione su una malattia, quella del diabete appunto, che a ragione viene ormai definita epidemia del terzo millennio. L’Italia è uno dei paesi che conferma, purtroppo, il dilagare di questa patologia, e le cifre, infatti, parlano chiaro: gli italiani affetti da diabete sono almeno 2.500.000 circa, un dato già di per sé allarmante nella sua consistenza e che per di più, secondo previsioni formulate sul tasso di crescita di questa malattia, sembra destinato a raddoppiare nel giro di vent’anni.

Il problema maggiore del diabete è rappresentato dalle sue complicanze, che più frequentemente colpiscono l’occhio, il rene, il sistema nervoso e il sistema cardiovascolare, e che spesso per la loro gravità arrivano ad incidere pesantemente sulla qualità di vita del malato. L’impegno di chi da anni lavora in questo campo, a stretto contatto con le molte e serie problematiche (fisiche, come si è detto, ma anche psicologiche, e di gestione stessa della vita quotidiana) che la malattia del diabete tanto spesso comporta, è allora quello di sensibilizzare il più possibile la popolazione dei pazienti diabetici sulla necessità di seguire, con costanza e regolarità, una serie di semplici ma preziose misure che rendono possibile combattere l’insorgenza delle complicanze di questa malattia. Fra quelle misure di prevenzione, di fondamentale importanza è per l’appunto l’autocontrollo dei livelli di glicemia, che oggi può essere eseguito dal paziente con estrema facilità, grazie all’uso di pratici e piccoli apparecchi che consentono di avere il risultato del test in pochi secondi.

L’argomento, nella conferenza milanese, è stato diffusamente affrontato dai seguenti specialisti: prof. Umberto Di Mario, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID); prof. Marco Comaschi, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi (AMD); e dott. Gerardo Corigliano, presidente Associazione Italiana Diabete e Gruppo Diabete e Sport. Ospite illustre, in questa stessa occasione, e soprattutto convinto “testimonial” che oggi si batte per la diffusione della cultura dell’autocontrollo della glicemia: il popolare Sir Steven Redgrave, diabetico cinque volte consecutive medaglia d’oro olimpionica di canottaggio.

 

 

Le complicanze croniche del diabete.

Il problema centrale dell’assistenza ai pazienti diabetici – così come sottolineato dal prof. Umberto Di Mario, presidente della Società Italiana di Diabetologia (SID) – è rappresentato dalla prevenzione e dalla cura delle sue complicanze croniche. Molte di queste complicanze, infatti, non solo possono inficiare gravemente la qualità di vita del malato diabetico, ma hanno un’incidenza crescente sulla popolazione diabetica complessiva e risulterebbero correlate a un alto rischio di riduzione della stessa aspettativa di vita. Qui di seguito, qualche dato fra i più significativi sulle principali complicanze croniche del diabete:

-         Neuropatia diabetica (malattia del sistema nervoso): colpisce circa il 30% dei diabetici. La forma più comune è quella periferica, che si manifesta con intorpidimento e formicolio agli arti, dolori crampiformi ai polpacci, specie di notte, diminuita sensibilità e comparsa di ulcerazioni alla pianta dei piedi. La neuropatia, unita alla vasculopatia, può causare cancrena degli arti inferiori.

-         Ulcere: ha un range di prevalenza del 4-10%. Amputazioni: 1,3% la prevalenza valutata. Di questo 1,3%, il 19% dei pazienti andrà incontro a successiva amputazione in tre anni, e il 50% in cinque anni.

-         Cardiopatia ischemica: è presente nel 7,5-20% dei diabetici di età superiore ai 45 anni, con rischio di quattro volte maggiore rispetto ai non diabetici. L’infarto miocardico è la principale causa di disabilità e mortalità nel diabete di tipo 2 (50-75% dei decessi): il rischio di stroke è 2-4 maggiore rispetto ai non diabetici; il 15% dei diabetici muore per cerebrovasculopatia.

-         Retinopatia diabetica: è la complicanza cronica più frequente del diabete e il rischio aumenta in funzione della durata della malattia: dopo circa 15 anni, la forma non proliferativa è presente nella totalità dei diabetici di tipo 1 e nell’80% dei diabetici di tipo 2. Nella popolazione adulta al di sotto dei 60 anni dei paesi industrializzati, la retinopatia diabetica è la principale causa di cecità (7-13% di tutte le cause di cecità) e di gravi alterazioni e menomazioni visive, come glaucoma e cataratta.

-         Insufficienza renale terminale (IRT): il diabete è la causa più comune di IRT e interessa circa 1/3 dei nuovi casi di dialisi. L’IRT è la principale causa di morte prima dei 50 anni nei pazienti di tipo 1; rispetto ai non diabetici, questi pazienti hanno un rischio 23 volte maggiore di sviluppare l’IRT. Lo stesso tipo di rischio, sempre rispetto ai non diabetici, è 17 volte maggiore nei pazienti di tipo 2. L’incidenza di nuovi casi di insufficienza renale terminale sta crescendo in tutti i paesi del mondo e il tasso di mortalità dei pazienti diabetici in dialisi è aumentato del 50% in due anni.

 

 

L’autocontrollo diabetico: un’abitudine indispensabile per tenere sempre sotto controllo la malattia e per prevenire le complicanze.

Le complicanze, dunque, del diabete possono arrivare ad essere molto gravi. Ma con adeguati accorgimenti è possibile – hanno ribadito gli esperti – gestire correttamente la malattia e combattere in tempo l’insorgenza dei rischi che alla stessa malattia possono essere connessi. L’arma vincente, in tal senso, è rappresentata dall’autocontrollo dei livelli glicemici, vale a dire la misurazione domiciliare del tasso di zuccheri presenti nel sangue, eseguita dal paziente stesso. L’esperienza clinica conferma che è proprio grazie all’autocontrollo glicemico che i pazienti diabetici diventano più consapevoli dei rapporti esistenti tra terapia (insulina o ipoglicemizzanti orali), comportamento alimentare, attività fisica e andamento glicemico. Monitorare infatti, regolarmente e anche più volte nell’arco della giornata, il tasso di zuccheri del sangue consente al paziente di potersi regolare con tutti gli altri aspetti che costituiscono l’insieme delle terapia (“aggiustandoli” ovvero calibrandoli a seconda delle particolari esigenze del proprio organismo) e complessivamente, quindi, consente di tenere costantemente sotto controllo l’andamento della malattia stessa e di prevenire, appunto, il rischio di gravi complicanze.

“La possibilità del controllo della glicemia a domicilio del paziente – ha puntualizzato il prof. Marco Comaschi, presidente dell’Associazione Medici Diabetologi – ha rappresentato uno dei più grandi salti di qualità della diabetologia moderna, e riuscire a controllare bene quel parametro può essere una condizione per controllare bene anche l’incidenza delle complicanze.”

Come indicato dai maggiori studi internazionali del settore, eseguire regolarmente l’autocontrollo della glicemia ritarda di circa il 60% l’insorgenza delle complicanze. È perciò assolutamente importante che i pazienti, sia quelli in terapia insulinica sia quelli che utilizzano farmaci antidiabetici orali, imparino a controllare autonomamente la glicemia.

 

Secondo un recente studio presentato al congresso dell’ADA, l’American Diabetes Association, solo il 33% dei diabetici intervistati si controlla regolarmente la glicemia; il 21% dei diabetici insulino-dipendenti di tipo 1 non fa autocontrollo regolare, e il 47% dei diabetici di tipo 2 che assumono insulina non si controlla mai.

In Italia, ben il 40% dei diabetici di tipo 2 e il 6% dei diabetici di tipo 1 sono i pazienti che non eseguono l’autocontrollo glicemico.

 

 

 

Indicazioni e consigli per l’autocontrollo. Un buon accorgimento quotidiano fatto di piccoli e semplici gesti.

L’autocontrollo regolare dei livelli glicemici è, per quanto già ricordato, uno strumento che consente una costante e più semplice gestione della malattia e che, pertanto, tutti i diabetici dovrebbero adottare come buona abitudine quotidiana.

Per alcune categorie di pazienti, tuttavia, eseguire l’autocontrollo è assolutamente indispensabile: è questo il caso, soprattutto, dei diabetici insulino-dipendenti e delle donne con diabete gestazionale. Tali pazienti dovrebbero sottoporsi all’autocontrollo in media sette volte al giorno: a digiuno, dopo colazione, prima e dopo i pasti principali, e alla sera prima di andare a dormire.

Non meno importante, tuttavia, è l’autocontrollo regolare e costante nel caso di diabete di tipo 2. Ha sottolineato il prof. Comaschi: “Se nel paziente diabetico di tipo 1 l’importanza dell’autocontrollo glicemico ha un’evidenza scientifica assoluta, nel paziente diabetico di tipo 2 l’importanza dello stesso autocontrollo, pur avendo una minore evidenza scientifica, resta pur sempre fondamentale.”

Controlli da eseguire con una certa frequenza e attenzione sono, inoltre, vivamente raccomandati in caso di “diabete instabile”, in caso di chetoacidosi, di presenza di altre patologie (inclusa la semplice influenza), come pure di stati caratterizzati da intenso stress emotivo.

L’aspetto pratico dell’autocontrollo glicemico è semplice e alla portata di tutti i pazienti, tanto che anche i soggetti più giovani (adolescenti diabetici ma pure, in molti casi, piccoli diabetici, previamente istruiti dall’équipe diabetologia di riferimento) riescono ad eseguire la misurazione della glicemia con facilità, in tutta sicurezza e, non per ultimo, in modo indolore. Con i moderni apparecchi per il monitoraggio glicemico oggigiorno presenti sul mercato – reflettometri molto leggeri e dalle dimensioni ridotte al minimo indispensabile – il paziente diabetico può eseguire agevolmente l’autocontrollo, praticamente in qualsiasi luogo e in qualsiasi condizione. In particolare, va ricordato che i dispositivi più all’avanguardia possiedono alcune importanti caratteristiche: - permettono di effettuare il prelievo non solo dalle dita ma anche dal braccio o dalla gamba; - richiedono una piccolissima quantità di sangue e, grazie a lancette molto sottili, permettono di praticare una puntura più superficiale; - sono dotati di strisce reattive che aspirano automaticamente il sangue e indicano se il campione di sangue è sufficiente per una lettura accurata del risultato; - forniscono il risultato della misurazione in tempi brevissimi, anche di 5 secondi circa.

 

 

Motivazione psicologica ed educazione terapeutica.

Tutto facile, dunque, per l’autocontrollo domiciliare? Sicuramente, sul piano della fruibilità materiale e, più precisamente, della “usabilità” dei moderni dispositivi che, come appena ricordato, consentono di monitorare i livelli glicemici in brevissimo tempo e in modo indolore, quello dell’autocontrollo risulta essere uno strumento - o meglio ancora un ‘appuntamento’ quotidiano – nient’affatto problematico. Più problematico, invece, è in vari casi il raggiungimento (e il consolidamento) del grado ottimale di motivazione psicologica, motivazione tuttavia indispensabile affinché lo stesso strumento dell’autocontrollo sia accettato e vissuto dal paziente diabetico come parte integrante dei molti altri gesti e abitudini della sua vita quotidiana. Ancora il dr. Comaschi, sul punto, ha ricordato che a mostrare, spesso, forme anche non lievi di resistenza psicologica all’autocontrollo glicemico sono soprattutto i diabetici di tipo 1, e ciò anche comprensibilmente, essendo questi i pazienti che devono comunque e obbligatoriamente fare iniezioni multiple di insulina durante l’arco della giornata. Per questi soggetti, nello specifico, si porrebbe un problema di maggiore familiarizzazione e di maggiore confidenza con la gestione quotidiana della propria malattia, gestione che per l’appunto richiederebbe anche l’inclusione (puntuale, regolare, costante, e in aggiunta ai vari appuntamenti d’obbligo con le iniezioni d’insulina) di autocontrolli multipli sempre nell’arco della giornata. Problemi di non poco conto, come si può bene intuire, e che molto spesso riflettono anche stati di demoralizzazione, di scarsa disponibilità alla pazienza e alla costanza nella terapia quotidiana, e fondamentalmente anche di scarsa accettazione della malattia stessa. Ma il “punto chiave” della motivazione psicologica – punto importantissimo sul quale, peraltro da anni, insistono gli specialisti – è proprio arrivare a (far) capire che quella diabetica è una condizione con la quale, certo con i dovuti accorgimenti, si può arrivare a convivere bene, senza eccessivi condizionamenti e restrizioni, e in armonia con tutti gli altri aspetti della propria vita. In che modo, dunque, è possibile far scaturire nel paziente diabetico il giusto grado di motivazione psicologica, tanto indispensabile per il coinvolgimento e il corretto autocontrollo nella terapia? Gli esperti, al riguardo, pongono l’accento sul rapporto di collaborazione, di vera e propria “cooperazione”, fra paziente e medico curante, un rapporto che richiede innanzi tutto un dialogo costante fra le due figure e che procede man mano sul piano dell’educazione e della formazione all’autocontrollo, fino a dar origine nel paziente a una sorta di feed-back positivo. Una volta raggiunto il giusto livello di coinvolgimento e di formazione, il paziente è in grado di eseguire quotidianamente l’autocontrollo e di gestire in modo autonomo il complesso della terapia, pur riservandosi naturalmente la possibilità di futuri ulteriori consulti col medico curante per ogni eventuale e opportuno “aggiustamento” della terapia stessa.

Questo, complessivamente, il processo di coinvolgimento, di istruzione e formazione che nella moderna diabetologia è compreso nel concetto di educazione terapeutica del paziente, e grazie al quale il paziente stesso è messo in grado di gestire in modo consapevole e autonomo tutti quegli aspetti che, nel loro insieme, rappresentano  l’autocontrollo glicemico: monitoraggio del tasso di zuccheri nel sangue (ossia il test eseguito con gli appositi reflettometri), terapia insulinica o assunzione di ipoglicemizzanti orali, comportamento alimentare, attività fisica e/o propriamente sportiva.

 

 

Attività fisico-sportiva e diabete. Sport come elemento cardine della terapia.

Al diabetico senza gravi complicanze, lo sport non solo è consentito ma è vivamente consigliato e raccomandato. L’indicazione viene da molti studi e ricerche della moderna diabetologia, rappresentando in tal senso una sicura inversione di rotta rispetto alla vecchie credenze e ai vecchi luoghi comuni per i quali (neanche fino a troppi anni fa) lo sport veniva considerato una sorta di tabù per i soggetti diabetici.

“L’attività sportiva migliora non solo il benessere fisico e psichico del diabetico a breve termine, ma anche l’aspettativa e la sua qualità di vita e può venire considerato un formidabile strumento di cura. Sono molti i vantaggi che l’attività sportiva apporta: abbassa il livello di glicemia, riduce il fabbisogno di insulina o di farmaci ipoglicemizzanti, abbassa il livello di trigliceridi e aumenta le HDL. Migliora inoltre l’ossigenazione dei tessuti, la performance cardiorespiratoria, l’ipertensione arteriosa lieve.” Così, sull’argomento, il dott. Gerardo Corigliano, presidente Associazione Italiana Diabete e Gruppo Diabete e Sport, che ha altresì sottolineato quanto, proprio per il diabetico sportivo, sia fondamentale l’autocontrollo costante e regolare: “Per potere praticare attività sportiva con tranquillità, il diabetico deve tenere sotto controllo la sua glicemia per riuscire a prevenire le ipoglicemie. Proprio sotto questo aspetto lo sport aiuta molto il diabetico. L’autocontrollo viene collegato ad un obiettivo reale ed immediato e non riferito ad un obiettivo remoto, come l’allontanamento dalle complicanze. Lo sport è senza dubbio la migliore palestra per l’autocontrollo e questo è a sua volta la migliore misura preventiva contro le complicanze, come dimostrato scientificamente.”

Se, dunque, nel diabetico, l’attività sportiva, oltre ad apportare i benefici comuni a tutte le persone, si rivela particolarmente utile in quanto determina una migliore utilizzazione del glucosio, con quali misure lo stesso soggetto diabetico può arrivare ad ‘aggiustare’ la dose giornaliera di insulina (o di antidiabetici orali), in modo anche da evitare eventuali scompensi glicemici? E quali accorgimenti di tipo nutrizionale dovrebbe tenere presenti il diabetico che pratica sport? Le recenti linee guida messe a punto dai diabetologi offrono utili risposte al riguardo, e indicano in che modo è possibile mantenere un buon compenso metabolico anche in presenza di un’intensa attività fisica. Al prospetto di queste linee guida, qui sotto riportato, segue immediatamente una serie di consigli molto pratici che gli esperti raccomandano ai diabetici sportivi, consigli che si riferiscono anche alle diverse condizioni climatiche per l’esercizio dell’attività sportiva e che possono facilmente essere messi in pratica.

 

 

Esercizio fisico e diabete

 

(A)

Le linee guida da seguire

1.       Controllo metabolico prima dell’esercizio:

·         evitare l’esercizio fisico se i livelli di glicemia a digiuno sono superiori a 250 mg/dl, oppure se sono presenti chetoni nelle urine, oppure se i livelli di glicemia sono superiori a 300 mg/dl (prescindendo dalla presenza di chetoni);

·         ingerire una quota aggiuntiva di carboidrati se i livelli di glucosio sono inferiori a 100 mg/dl.

2.       Monitoraggio della glicemia prima e dopo l’esercizio fisico:

·         valutare quando sono necessarie correzioni della dose di insulina o dell’introduzione di cibo;

·         apprendere e memorizzare la diversa risposta glicemica alle differenti condizioni di esercizio fisico.

3.       Alimentazione:

·         per evitare l’ipoglicemia consumare, se necessario, dosi supplementari di carboidrati;

·         cibi a base di carboidrati, zucchero o bevande zuccherine, dovrebbero essere prontamente disponibili durante e dopo l’esercizio fisico.

 

(B)

(altri) Consigli e raccomandazioni

Ø       Consumare bevande ipotoniche, ricche di sali minerali e a basso contenuto di glucosio, specie nella stagione calda (ossia quando è maggiore la perdita di liquidi).

Ø       Soprattutto in estate, praticare l’attività sportiva preferibilmente di prima mattina o nel tardo pomeriggio, sia per evitare le ore di maggiore calore, sia perché la prima mattina e il tardo pomeriggio coincidono con la migliore cinetica dell’insulina. Diversamente, il caldo intenso (in quanto causa una dilatazione del letto capillare) facilita l’assorbimento dell’insulina e può perciò causare ipoglicemie notturne.

Ø       Proprio per evitare ipoglicemie notturne, e specie se l’attività sportiva è praticata nella stagione calda, è buona norma controllare la glicemia prima di coricarsi; se la glicemia è inferiore ai 120 mg/dl, bere un bicchiere di latte e mangiare qualche fetta biscottata, o comunque carboidrati a lento assorbimento.

Ø       In particolare per i bambini diabetici, è sconsigliata la pratica di sport violenti (quali: arti marziali, lotta, pugilato) come pure di quegli sport nei quali un’ipoglicemia potrebbe essere letale (es.: paracadutismo, immersione subacquea).

Ø       Resta in ogni caso fondamentale, per tutti i soggetti diabetici che facciano sport, la raccomandazione di praticare l’esercizio sportivo con una certa regolarità quotidiana e soprattutto di adeguare dieta e terapia insulinica alla durata e al tipo di sport praticato.

 

 

Sport: “una palestra di autoeducazione, specie per i diabetici insulino-dipendenti”.

Con quest’efficace affermazione del dott. Corigliano (presidente Associazione Italiana Diabete e Gruppo Diabete e Sport) con la quale apriamo quest’ultima sezione dedicata a diabete e sport, vogliamo infine sottolineare a viva forza l’importanza che, confermata anche in campo agonistico, assume il ruolo dello sport per il benessere anche dei diabetici insulino-dipendenti. Diabetici che, per quanto più sopra già ricordato e riferito alle stesse esperienze degli specialisti più a contatto con i  pazienti, tenderebbero più degli altri (ossia dei diabetici di tipo 2, non insulino-dipendenti) ad avere una certa riluttanza iniziale a prendere in considerazione la necessità di un autocontrollo regolare, costante, gestito con attenzione durante tutto l’arco della giornata. Dei moderni programmi di educazione terapeutica messi in campo da molti attenti diabetologi abbiamo già detto, evidenziando come quei programmi, improntati a uno stretto rapporto di dialogo e di cooperazione fra paziente e medico curante, contribuiscano spesso e in modo determinante ad accrescere motivazione psicologica all’autocontrollo anche nel soggetto diabetico insulino-dipendente. Ed è per l’appunto ancora con l’esperienza sul campo, e per la precisione la lunga esperienza a contatto con i giovani diabetici insulino-dipendenti, che vogliamo per un attimo tornare a dare il giusto risalto a quel sottile filo rosso che caratterizza l’impegno di un numero sempre maggiore di specialisti in questo settore, specialisti che hanno maturato una innovativa concezione della diabetologia a tutto vantaggio (anche) delle condizioni di vita dei diabetici insulino-dipendenti, pazienti per i quali – va ricordato – fino a non molti anni fa le indicazioni terapeutiche più comuni includevano limiti e divieti molto rigidi praticamente in ogni aspetto della vita quotidiana, costringendo, nei fatti, quei pazienti a condurre uno stile di vita molto limitato. Molti di quei limiti, di quelle restrizioni, se non di quei tabù (basti pensare, ad esempio, che fino a pochi decenni fa le diete solitamente prescritte ai bambini diabetici ricalcavano lo stesso schema di quelle prescritte ai diabetici anziani; che l’inclusione anche saltuaria di un dolce era assolutamente vietata nella dieta del diabetico, senza quindi tener presente la possibilità di sostituzione con altri cibi dello stesso gruppo alimentare; o, ancora, che la stessa vita sociale e di relazione del diabetico subìva forti limitazioni sulla base di tassativi divieti, imposti spesso dagli stessi medici, divieti che si spingevano a ridurre al massimo ogni impegno muscolare e, per i più giovani, persino il gioco coi compagni) oggi sono caduti, sono venuti meno, e lo sono stati perché sormontati da intensi studi, ricerche, osservazioni compiuti nella diabetologia moderna, che proprio di molti di quei divieti e di quelle limitazioni ha dimostrato l’infondatezza scientifica. Uno di quei divieti, torniamo a sottolinearlo, riguardava appunto l’attività fisica, e in particolare l’attività sportiva, soprattutto per il diabetico insulino-dipendente. Ci piace allora concludere - dopo aver già passato in rassegna i molti e importanti benefici che l’attività fisico-sportiva apporta alla salute di (anche) questa categoria di diabetici - citando alcune realtà e testimonianze che si riferiscono, come già dicevamo, alla lunga esperienza “sul campo” a stretto contatto con i giovani diabetici insulino-dipendenti. Ancora una volta, vogliamo quindi lasciare spazio alla parola del dott. Gerardo Corigliano, esperto di spicco in fatto di diabete e sport: “I diabetici, specialmente i giovani, sono ormai perfettamente inseriti nel tessuto sociale e conducono una vita normale. Praticano perciò l’attività fisica come tutti gli altri. Già 10 anni fa si dimostrò che l’attività sportiva di giovani diabetici è sovrapponibile a quella dei giovani non diabetici, e oggi sappiamo anche che l’insulino-dipendente ben controllato che accetta con serenità il suo “disturbo” può ottenere perfino prestazioni sportive di notevole livello. Una prova che il diabetico, se allenato e motivato, può raggiungere risultati sportivi eccellenti è stata ad esempio rappresentata dalla nostra spedizione sul Kilimangiaro, realizzata nel gennaio scorso. Siamo partiti da Venezia, un gruppo di 11 diabetici e 5 medici, e in 5 giorni abbiamo scalato questa vetta di circa 6000 metri.”

E ancora, parlando dell’Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici da lui presieduta, lo specialista ha ricordato: “Tra i nostri iscritti, che attualmente sono circa 700 (un numero comunque sicuramente inferiore a quello dei diabetici di tipo 1 che praticano qualche attività sportiva), figurano atleti a livello amatoriale, a livello agonistico locale e anche nazionale. A livello nazionale ci sono rappresentanti del calcio, del free climbing, del triathlon e del ciclismo. Fra costoro posso citare Vittorio Casiraghi, accademico del CAI e alpinista free climbing.”

Casi di eccellenza a parte, che comunque costituiscono testimonianze preziose del potenziale del giovane diabetico ben allenato, lo specialista ha suggellato il suo intervento con queste affermazioni che, del medico a stretto contatto con l’impegno e la tenacia di persone che (proprio in quanto diabetiche) fino a pochi anni sarebbero state comunemente ritenute incapaci di raggiungere apprezzabili prestazioni sportive, esprimono non solo entusiasmo e non solo soddisfazione ma anche la sintesi di considerazioni molto puntuali sul problema: “Fare sport quando si sia affetti da diabete è una pratica che prevede dei rischi, ma con accurate misure d’autogestione della terapia e del trattamento dell’ipoglicemia l’attività fisica può essere praticata tranquillamente, anche dalla maggior parte dei bambini e degli adolescenti di tipo 1. Proprio perché facendo un’intensa attività fisica il diabetico è “obbligato” a controllarsi (per evitare il rischio di scompensi glicemici e per adeguare la terapia insulinica al calo di zuccheri nel sangue), si può asserire che lo sport rappresenta per il diabetico una palestra di autoeducazione, una palestra che gli consente di acquisire il controllo sulla propria salute. E se l’autocontrollo sulla propria salute è, in generale e per chiunque, importante, possiamo ben dire che i diabetici sportivi sono uomini con una marcia in più.”

 

 

L’impegno di Sir Steven Redgrave, diabetico e 5 volte campione olimpionico di canottaggio.

Ospite d’eccezione alla conferenza milanese sull’autocontrollo diabetico: Steven Redgrave, per 5 volte consecutive medaglia d’oro alle Olimpiadi nel canottaggio (Los Angeles 1984, Seoul 1988, Barcellona 1992, Atlanta 1996, Sydney 2000). Nato nel 1962 a Marlow Bottom nel Buckinghamshire, in Inghilterra, Stevane Redgrave è stato diagnosticato diabetico all’età di 35 anni e da allora ha imparato ben presto a convivere con la propria condizione diabetica senza venir meno alla sua attività atletica ai massimi livelli. Ma ecco una sintesi del racconto fatto dallo stesso Redgrave: “Nel 1997, quindi nel pieno della mia attività sportiva agonistica, venni diagnosticato diabetico: fu per me uno shock molto grande, e inizialmente mi risultò molto difficile venire a patti con questa condizione perché fino ai 35 anni ero stato benissimo. Tuttavia ho dovuto accettare molto rapidamente il fatto di avere questa malattia e imparare a curarmi, soprattutto perché avevo di lì a poco un obiettivo olimpionico (le gare alle Olimpiadi di Sydney, n.d.a.). Un obiettivo che, devo ammettere, è sicuramente stato di grande stimolo per imparare a gestire subito, e al meglio, la malattia, e in questo senso capisco che per altri diabetici, che magari non hanno obiettivi ugualmente stimolanti, l’impatto con questa stessa malattia possa invece essere molto più difficile di quanto non lo sia stato nel mio caso. All’inizio, comunque – ha proseguito Redgrave - mi avevano detto che proprio a causa della mia condizione diabetica non avrei più potuto allenarmi come prima, e del resto, fino a pochi anni fa, si sapeva veramente poco sul rapporto fra gli sport di resistenza, come il canottaggio, e il diabete. Tuttavia decisi di non darmi subito per vinto e, pur consapevole che da quel momento la strada per il successo avrebbe potuto essere molto più difficile, decisi di affrontare comunque, con l’aiuto del mio specialista, i vari problemi che la malattia mi poneva. Il primo problema riguardava l’alimentazione: la dieta diabetica che nei primi periodi seguivo non mi dava forze sufficienti per poter continuare a dedicarmi, come prima, all’attività sportiva. Tornai quindi a seguire un tipo di dieta che mi forniva 6000 calorie al giorno; tornando a mangiare di più, riuscivo ad apportare al mio organismo più glicogeno, e tuttavia ciò risultava ancora insufficiente. Risolsi questo problema cominciando ad assumere, dopo ogni allenamento, una bevanda zuccherina particolare e, soprattutto, prendendo l’abitudine di controllare il livello glicemico anche 6-7 volte al giorno, misura – questa – indispensabile proprio in relazione alla dieta che ero tornato a seguire per poter fornire all’organismo le sostanze di cui, con l’intensa attività fisica cui giornalmente era sottoposto, aveva assolutamente bisogno. Parallelamente alle modifiche apportate nella dieta, modificai anche la terapia insulinica: assumevo 3 volte l’insulina di prima, e in particolare dell’insulina ad azione molto rapida, cioè a breve durata di azione. Tutte queste misure di autocontrollo, seguite con costanza e regolarità nell’arco della giornata, mi hanno consentito di proseguire benissimo, senza problemi, negli allenamenti sportivi in vista delle imminenti olimpiadi, e la medaglia d’oro vinta a Sydney, nel 2000, ne è stata un’ulteriore conferma.”

Da allora, da quella importante riconferma del titolo di campione olimpionico (cinque volte consecutive, lo ricordiamo ancora, nel duro sport di resistenza del canottaggio), titolo che all’atleta britannico è valso la nomina di cavaliere dalla regina d’Inghilterra, Sir Steven Regrave, o Sir Steve, come lui ama farsi chiamare, ha deciso di smettere la sua attività agonistica e ha cominciato il suo impegno come “testimonial” per l’autocontrollo diabetico in vari Paesi del mondo. “Rivolgendomi a specialisti e pazienti diabetici – ha spiegato Redgrave – porto ad esempio la mia esperienza che mi ha insegnato come il controllo del diabete possa essere una questione di un corretto stile di vita. Anche adesso che non pratico più sport agonistico, seguo lo stesso trattamento (ovviamente con alcune modifiche) e le stesse misure di controllo che mi hanno consentito di vincere le Olimpiadi di Sydney: 3 volte al giorno assumo insulina, eseguo regolarmente dell’esercizio fisico, in particolare cammino tantissimo a passo svelto – cosa che aiuta molto a tenere sotto controllo il tasso glicemico – e circa 6-7 volte al giorno eseguo il test della glicemia usando un moderno apparecchio, un dispositivo molto piccolo e facile da usare e che posso portare con me dappertutto. Il messaggio fondamentale che voglio diffondere – ha sottolineato il popolare personaggio – è che la mancanza di autocontrollo può portare a conseguenze terribili. Mi auguro pertanto che il mio coinvolgimento in questa campagna di sensibilizzazione possa convincere i diabetici a tenere sotto controllo la malattia nel modo più adeguato e spero, quindi, che la diffusione dell’autocontrollo possa rendere le persone più consapevoli del fatto che è possibile gestire tranquillamente la propria condizione diabetica. Bisogna far sì che la malattia diabetica non infici il proprio stile di vita – ha concluso Steven Redgrave - e questo lo si può ottenere seguendo quelle opportune misure di autocontrollo che rendono liberi da eccessivi condizionamenti e restrizioni.”

 

 

 

Diabete mellito di tipo 1 e diabete mellito di tipo 2. I sintomi del diabete.

 

Condizione indispensabile per un corretto metabolismo del glucosio è la produzione nell’organismo di una sufficiente quantità di insulina, ormone che viene secreto dalle cellule beta delle isole pancreatiche di Langerhans. L’insulina svolge la funzione di regolare e abbassare il tasso della glicemia (il tasso di zuccheri nel sangue), e quindi di favorire l’utilizzazione del glucosio da parte dei tessuti.

La carenza, totale o parziale, di insulina, e/o a una resistenza anormale a quest’ormone, provocano il diabete, una turba del metabolismo dei carboidrati caratterizzata, precisamente, da un aumento di glucosio nel sangue.

 

  • Il diabete mellito di tipo 1 o diabete ‘insulino-dipendente’ è caratterizzato da una carenza totale di insulina e pertanto richiede necessariamente, per la sua terapia, la somministrazione di insulina (tramite iniezione). In questo tipo di diabete, che compare più spesso nei bambini e negli adolescenti (da qui la definizione anche di “diabete giovanile”), l’assenza di insulina è dovuta alla progressiva distruzione delle cellule beta delle isole di Langerhans. Questo processo involutivo, che rimane silente per mesi e si manifesta solo quando circa l’80% del pancreas risulta già distrutto, viene fatto risalire a un meccanismo autoimmunitario, con abnorme produzione di autoanticorpi anti-cellula beta pancreatica o anti-insulina. All’origine di questo meccanismo sembrerebbe esserci una predisposizione genetica individuale, associata a fattori ambientali scatenanti (specie infezioni virali). Il diabete di tipo 1 può comunque manifestarsi anche negli adulti e negli anziani, come conseguenza di un progressivo deterioramento delle cellule beta delle isole di Langerhans, che diventano atrofiche.
  • Il diabete mellito di tipo 2 o diabete non ‘insulino-dipendente’ è caratterizzato da una carenza parziale di insulina oppure da insulino-resistenza, cioè dall’incapacità dell’organismo di utilizzare l’insulina che viene secreta. In questo tipo di diabete, detto anche “senile” in quanto compare di solito dopo i 60 anni (e più di frequente nei soggetti in soprappeso), l’insufficiente quantità di insulina secreta è causata dalla scarsa funzionalità delle cellule beta delle isole di Langerhans; quanto all’insulino-resistenza, il fenomeno è dovuto a un mal utilizzo dell’insulina (anche quando secreta in quantità superiore al normale) da parte dei recettori cellulari di questo ormone. La terapia del diabete di tipo 2 può includere, a seconda dei casi specifici: somministrazione di insulina, più frequentemente l’utilizzo di ipoglicemizzanti orali, o anche solo un regime di dieta alimentare. Circa le cause del diabete di tipo 2, risulta oramai accertato che, oltre alla componente genetica, un ruolo di primo piano hanno i fattori di tipo ambientale. Fra questi, un’influenza rilevante, anche se non ancora esattamente determinata, hanno i cd. fattori individuali modificabili, quali soprattutto vita sedentaria, alimentazione errata, obesità, fumo (ma anche colesterolemia elevata, ipertensione, ed altre malattie e disturbi della società industrializzata sempre per ciò che riguarda, ovviamente, la loro correlazione diretta con lo stile di vita adottato). Tutti fattori, questi, ai quali gli specialisti attribuiscono la responsabilità di un alto aumento del rischio di diabete di tipo 2 (rischio che, peraltro, proprio in quanto riferito a una patologia tipicamente legata alla terza età - “diabete senile” – prospetta oggi il suo andamento progressivo in rapporto allo stesso fenomeno di innalzamento crescente dell’età media della popolazione generale – n.d.a.).

 

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Sintomi del diabete. La sintomatologia più caratteristica del diabete è costituita da: bulimia o ricorrenti crisi di appetito (con tendenza spiccata per zuccheri e farinacei), sete esagerata, astenia, dimagramento, aumento della diuresi, enuresi specie nei bambini più piccoli, disidrazione, chetosi; da menzionare, anche, l’acido-achetosi, fase di acidosi che può seguire alla chetosi pura (qualora il meccanismo di regolazione della riserva alcalina e del pH del sangue divenga insufficiente), e che nel diabetico corrisponde ai periodi di precoma e di coma. A questi segnali più caratteristici, e che nel loro insieme rappresentano, soprattutto, la manifestazione clinica del diabete mellito di tipo 1, spesso si affiancano: prurito ai genitali, impotenza, cessazione imprevista del ciclo mestruale, ferite che stentano a guarire, alterazioni dentarie, crampi, dolori nevralgici, tendenza al sonno, diminuzione della memoria, ed altri sintomi rivelatori.

 

 

 

Marina Palmieri

 

 

 

 

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Info Pubblicazioni:

- Bollettino Cardiologico N. 109, Ottobre 2002

- vd. anche Abstract in http://www.sedes.it/Articoli/2005/10/BiblDiabete7.htm

 

 

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