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    “Non
    abbiate paura”.
    A Papa
    Woytila. Vicini oltre ogni possibile distanza. 
      
    (di
    Marina Palmieri) 
      
      
      
      
      
    “Non abbiate paura” 
    gridò potente qualcuno 
    che si fece ponte, 
    convincente e tenero così 
    ammonì qualcuno al mondo
    intero. 
      
    E lo ascoltava intanto
    l’Universo 
    tutto, quel grande Spazio 
    con un che di legge misteriosa 
    che a quell’uomo polacco e
    universale 
    si trovò in qualche modo a
    svelare il suo segreto. 
      
    Comprese il mondo, la gente
    brulicante, 
    i miliardi di volti 
    dai molti colori riposti in
    ogni luogo, 
    negli intertizi che ospita il
    pianeta 
    e l’avvenire? 
      
    “Non so” – direbbe forse un
    angelo arcano 
    e osservatore. 
    Ma parole, erano, sulla scia
    d’un presentimento, 
    dettate sicure da un presagio, 
    frutto di visioni lunghe per
    un ammonimento. 
      
    Impara poco e niente l’uomo 
    sulla terra, 
    errori uguali e ripetuti 
    da troppo tempo insulso se poi 
    variante al massacro è ogni
    raffinatezza in più. 
      
    Ridono, molti, al tenore 
    di quell’ammonimento. 
    Oggi ridono ancor più, 
    nella grassezza di cecità e
    arroganza. 
    Cosa dirai da lassù, Karol? 
      
    Come guarderai 
    alla rovina che si appresta, 
    e più massiccia e grave 
    nella conoscenza, 
    quale soccorso potrai mai
    apprestare? 
      
    Appresta – ti chiediamo – il
    tuo carisma 
    e il tuo potere che dialoga
    con l’Oltre, 
    la sottile sapienza 
    nei mondi paralleli porta 
    a questi lembi terrestri
    appesantiti. 
      
    Da quei mondi traesti squisiti 
    i verbi di misericordia 
    e grazia che conoscesti già 
    e prima dell’infanzia, 
    materno sguardo la guida che
    ti si fece propria. 
      
    Ne lessi versi toccanti e scie
    in certe strofe tue, 
    antenna ti si volle – antenna
    dei fremiti creatori – 
    sin dall’età più verde e poco
    spensierata 
    immersa in tutti quei giorni e
    in quelle notti e in quei fiumi di astri 
    che muti balenavano,
    balenavano in te nei sogni di orfanato figlio. 
      
    Ne lessi versi toccanti fra le
    vesti 
    tue bianche e svolazzanti 
    allorché dall’alto d’un jet
    per i mari 
    di sempre o dal basso di tende
    improvvisate 
    usciva la tua Presenza fresca 
      
    a rinfrancare: e tutti erano
    giovani 
    al fiato tuo diffuso per i
    venti 
    e calato, dondolante suono,
    tra le folle, 
    calato per i tanti, per l’uno
    e per ognuno, 
    a ricordare “Amico o fratello,
    sei anima del mondo”. 
      
    Sei anima del mondo e vai
    sicuro 
    nella legge della libertà, 
    nella luce che ammanta cosa
    vivente tutta 
    e la protegge e cura. Questo,
    ancora, 
    mi dice il tuo sorriso e anche
    il coraggio, 
      
    coraggio robusto e mantenuto
    intatto 
    quand’anche più avanti nel
    tempo, 
    tra bufere diurne e rigidi
    inverni di Passione 
    (e la Passione primigenia tua
    mai distinse 
    climi di stagione), testimone
    indefesso 
      
    disciplinavi gesti e fatiche e
    meriti di sonno 
    (e sogno?) al compito
    accettato, missione 
    vasta e forte ed entusiasta
    sempre, 
    tanto che balsamo aleggiava
    dentro qualsiasi ombra 
    di casa, finanche da monitor,
    da tasti e da transistors. 
      
    Ora ricordo quando, sempre di
    bianco remoto e fresco, 
    proprio uno dei tasti fu l’oggetto
    tuo del dire. 
    E tasto era il bocciolo di
    antico potenziale detto moderno o nuovo,  
    tasto il pezzo di materia
    d’una rete filata da ragno abile e cosciente: 
    abilità e coscienza che tu
    sapevi bene, 
      
    abilità e coscienza che tu
    intuivi e suggerivi come 
    nuova competenza palesata nel
    mondo e geometria, 
    in questo, di rinnovato volo
    mentale del complesso umano, 
    traiettoria per novelli
    voleri, per conferme magari di calata 
    sapienza e di valori. E il
    tutto lo mostrasti con un gesto. 
      
    Con un gesto semplice e diretto
    lo mostrasti 
    (e il pianeta tratteneva il
    respiro a quel mostrarti tuo) 
    allorché un messaggio di
    colomba, un regalo di pace, 
    affidasti a un tocco del tasto
    che fissavi 
    e ai raggi che a cento, a
    mille e più diramazioni 
      
    viaggiavano per popoli e
    nazioni e terre, veloci 
    quasi come luce a portare
    elettroniche stelle 
    di parole, le tue, su video
    pulsanti di speranze. 
    Era l’email del Papa venuto da
    lontano, 
    la grande gioia dei bit in
    lancio per altri ponti e altri divenire. 
      
    E ora anche quello traspira
    del Riposo tuo, 
    e ora che ci penso meglio
    tutto risuona del passo 
    con cui dall’alto ripercorri
    il mondo e guardi: moniti e 
    presagi, i tuoi, sguardi
    dell’Uno che gocciano di padre e madre originari 
    quelli che hai immerso tra
    mari, tra venti di conchiglie e tra vulcani 
      
    e tutto chiede una Speranza in
    più per poter credere ancora  
    nell’umanità-creazione, per
    proseguire, incedere e anelare.  
    Confidando (e, intanto, “dove
    sei?” grida lo specchio all’uomo) udiamo 
    ancora il suono delle parole
    tue e il passo di quel tuo camminare 
    da lontano.  
      
    Da lontano, tu, così
    tenacemente adesso come allora, 
    (non abbiate paura – continua
    e avanza il rintocco di Sempre) 
    da lontano così tenacemente da
    sturbare l’anima,  
    che vicini si è, 
    vicini oltre ogni possibile
    distanza. 
      
      
      
    Marina Palmieri 
    (Arrivo del 4
    Ottobre 2008) 
      
    
      
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