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Documenti == > Psicologia - Pedagogia |
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Correlato: Documento, sostenuto
da oltre 600 psicologi, sulle valenze antipedagogiche dell’uso degli animali
nei circhi, nelle sagre, negli zoo. >>> |
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Sono già
più di 600 gli psicologi che, nella loro veste professionale, hanno deciso di
sostenere un documento, che esprime preoccupazione rispetto al valore
antipedagogico e antiempatico rivestito dall’uso degli animali nelle sagre
popolari, nei circhi, negli zoo. Proprio in
considerazione del fatto che compito specifico degli psicologi, come recita
il codice deontologico, è la promozione del benessere dell’individuo, del
gruppo, della comunità, è doveroso che, come categoria professionale, ci si
occupi e si cerchi di decodificare il senso e le conseguenze di situazioni
che sono tutt’altro che neutre, dal momento che offrono impliciti modelli di
comportamento, che, sotto un’’apparenza gioiosa, veicolano convinzioni
articolate, fortemente antipedagogiche, se è vero che pedagogia dovrebbe
essere anche e soprattutto educazione al rispetto dell’altro. I contesti
presi in considerazione sono zoo, circhi, sagre, cioè quelle realtà in cui
gli animali vengono usati per il pubblico divertimento, costretti in
condizioni incompatibili con la loro natura: i circhi in Italia sono circa
300, gli zoo vanno aumentando pur se nelle forme di zooparchi, le sagre sono
circa un migliaio ed hanno luogo con l’impiego di tutti i tipi di animali. Non
possiamo certo ignorare che quanto si propone nei circhi (orsi in bicicletta,
tigri che attraversano cerchi infuocati, leoni seduti sugli sgabelli……...)
sono l’atto finale di una serie di interventi di ammaestramento crudelissimi,
che hanno inizio con il rapimento di questi animali dai loro luoghi di
origine, con l’inevitabile uccisione di molti esemplari e la morte
accidentale di tanti altri, e proseguono con addestramenti che contemplano il
far loro soffrire fame e sete, usare fruste, bastoni e addirittura ferri
roventi, come per altro non hanno difficoltà alcuna ad ammettere gli stessi
circensi, “domatori” come usano definirsi, delle loro naturali inclinazioni,
da sacrificare al vanto di sentirsi i più forti. Nessun
animale sembra poi essere al riparo dalle violenze, che, in nome di
tradizioni culturali da rispettare, vengono messe in atto nelle sagre:
cavalli, asini, tori, mucche, buoi, capre, agnelli, piccioni, oche, rane …
nelle date prestabilite, vengono sottoposti a crudeltà e abusi sdoganati da
quella sorta di termini magici che sono cultura e tradizione. Le sagre in
Italia abbracciano, oltre ai palii, esibizioni che prevedono per esempio che
dei buoi vengano costretti a correre trascinando per ore pesi inverosimili;
che anatre e galli vengano fatti correre terrorizzati per le strade; che
degli asinelli vengano spinti verso un insensato traguardo; che ragazzini
bendati si sfidino a chi colpisce di più con una scopa di saggina un maialino
atterrito e sconvolto, chiuso in un recinto, che tenta inutilmente di
sottrarsi loro. Si
giustificano queste manifestazioni con il valore
culturale che rappresenterebbero, in quanto le loro origini vanno
ricercate molto indietro nel tempo: bisogna di fatto risalire al mondo
egizio, il primo che si dedicò ad ammaestrare animali e a raccoglierli in
parchi che sono gli antesignani degli attuali zoo. E poi continuarono i
greci, che cominciarono a insegnare a leoni, orsi, cavalli quei comportamenti
simil-umani quali danzare, inchinarsi e fare giochi di abilità, e inventarono
i primi serragli itineranti, precursori degli attuali circhi. Fu in
seguito Roma a raggiungere l’apoteosi dell’assoluta sottomissione degli
animali al Circo Massimo, dove fino a 200.000 spettatori potevano assistere
allo spettacolo della lotta e delle uccisioni tra animali, le cosiddette
venationes, che affiancavano quelle tra i gladiatori. Il vertice dei massacri
si raggiunse con l’inaugurazione del Colosseo, per celebrare la quale il
pubblico si entusiasmò all’uccisione di un numero di animali che gli storici
stimano tra 5 e 9000, e poi con i festeggiamenti per i successi militari
dell’imperatore Traiano, onorato con una carneficina di 11.000 vite:
l’abitudine e l’attrazione per sangue e morte, alimentata nel corso delle
guerre, strabordava e celebrava se stessa. Con
l’avvento della cristianità si cominciò a porre fine agli spettacoli cruenti,
ma non allo sfruttamento degli animali che, non più uccisi in pubblico,
cominciarono ad essere ridicolizzati e umiliati per divertire il pubblico,
per altro autorizzato a molestarli, in nome della propria superiorità. L’odierno
uso degli animali nei circhi, nelle sagre, negli zoo discende da quelle
antiche manifestazioni, che si sono poi differenziate, e che ancora oggi
trovano il loro denominatore comune in alcuni elementi, che sono: -
l’assenza, nell’evento, di una qualsiasi utilità, dal momento che gli
spettacoli sono fini a sé stessi, puro e semplice divertimento; -
il carattere pubblico e la ricerca del coinvolgimento,
dell’eccitazione, dell’entusiasmo e del divertimento della folla presente; -
l’esibizione di forza a danno del più debole, che viene costretto con
la violenza a comportamenti innaturali, a sforzi estremi, a competizioni
sanguinose o rovinose, o a fungere, con la propria morte, da trofeo per il
vincitore di turno. Quello che
è cambiato, e che le manifestazioni di cui stiamo parlando sembrano ignorare,
è la considerazione di come nella società occidentale, in modo embrionale da
Darwin, e con una spinta decisiva negli ultimi decenni, siano radicalmente
mutati la considerazione e quindi l’atteggiamento verso gli animali, nei cui
confronti sono sempre di più le persone che non accettano atti di violenza;
quella immane degli allevamenti, dei macelli e dei laboratori di vivisezione,
ancora vitalissima, per essere tollerata, viene assoggettata ad una pressoché
totale rimozione, favorita dalla inaccessibilità dei luoghi dove viene
perpetrata. Di
conseguenza gli abusi nei loro confronti possono avvenire sulle pubbliche
piazze solo se inseriti in una diversa cornice cognitiva, quella per
l’appunto della cultura e della tradizione, una sorta di salvacondotto che
permette di bypassare insensatezze e crudeltà e di alterare la percezione
della realtà. Il motivo
per cui molti psicologi ritengono sia loro diritto come categoria
professionale, direi meglio dovere, prendere posizione su tutto ciò, è che si
tratta di contesti spesso destinati al divertimento dei bambini, in quanto
considerati occasioni di festa: che cosa può acquisire un bambino dalla vista
di tutto ciò? Ovviamente quello che l’adulto gli suggerisce, in quanto, nel
corso dello sviluppo la facoltà di critica e di giudizio si forma e si
acquisisce sul modello che viene proposto o imposto: è buono ciò che è
presentato come tale, è giusto ciò che viene regolarmente incentivato. I
genitori che assistono con i figli alle sagre o li portano al circo o allo
zoo, li esortano ad una curiosità interessata, mobilitano una forma di gradimento
e di entusiasmo; in alcuni casi, come già ricordato, li rendono addirittura
elementi attivi dello spettacolo, affidatari del compito di tormentare in
prima persona l’animale. E loro, a seconda dell’età, tenderanno a fare una
sovrapposizione tra lo spettacolo proposto e l’atmosfera di festa che
respirano; impareranno che tutto ciò che vedono è lecito e divertente; si
abitueranno a non vedere, a non capire, a non farsi carico della sofferenza
degli animali, anche se questi mandano segnali di irrequietezza, sofferenza,
terrore. Se le
naturali emozioni di disagio, speculari a quelle provate dall’animale, si
scontrano con l’allegra superficialità dell’adulto, sarà gioco forza per un
bambino non dare loro diritto di cittadinanza e adeguarsi allo stato mentale che
gli viene richiesto. Il risultato di tutto ciò è un’educazione
all’insensibilità, a non riconoscere nell’altro essere vivente, animale umano
o non umano, i segnali di dolore, a ritenere normali le manifestazioni di
dominio del più forte sul più debole. In una parola si sta offrendo un
modello che è l’esatto opposto dell’empatia. L’empatia
è una componente essenziale del comportamento prosociale, dell’intelligenza
emotiva: permette di capire quello che l’altro prova, dal punto di vista
intellettivo e dal punto di vista emotivo, facendo leva su meccanismi di
risonanza interna, che consentono di rispecchiare ciò che gli altri fanno e
sentono. Ha un ruolo fondamentale nella vita delle persone, in quanto
permette di strutturare il proprio comportamento tenendo conto delle esigenze
dell’altro, con il risultato spesso di inibire comportamenti aggressivi e
disfunzionali, di contrastare l’aggressività. La
comunicazione empatica è la forma non violenta di comunicazione per
eccellenza: forma il nucleo di comunità solidali perché, nel momento stesso
in cui agisce da riconoscimento dell’individualità di un’altra persona o
essere, accorcia le distanze tra noi e l’altro. L’educazione
dei bambini all’empatia è un processo che va avanti negli anni; viene
trasmessa attraverso la proposizione di comportamenti, modelli, stili
educativi basati sul rilievo dato al punto di vista dell’altro. E tutti noi
sappiamo bene quanto sia facile capire l’altro se è uguale o simile a noi, e
quanto sia invece difficile farlo se è diverso: ne siamo testimoni ogni
giorno davanti alla incomprensione che accompagna la relazione con chi
appartiene ad una altra razza, ad un'altra cultura, ad un’altra religione;
per alcuni risulta insopportabile anche la diversità dei diversi orientamenti
sessuali. Gli
animali sono esseri viventi diversi da noi; capire loro, capire quello che
provano e sentono, capire e decodificare i loro messaggi e le loro emozioni è
allora il miglior training per imparare a mettersi dal punto di vista
dell’altro. Nel fare ciò, è fondamentale che i bambini siano aiutati dagli
adulti ad interpretare il linguaggio del corpo e i suoni con cui gli animali
domestici e non domestici segnalano i loro stati emotivi: devono essere resi
consapevoli che gli animali come le persone provano sentimenti, sono
sensibili all’affetto, desiderano essere consolati. Decodificando il
linguaggio delle emozioni degli animali, si impara ad interpretare tutte le
emozioni. Sul
versante opposto, la mancanza di empatia verso gli animali nella sua forma
estrema di maltrattamento, tortura, uccisione è correlata ad altre forme di
violenza, tanto che tra i criteri diagnostici dei disturbi della condotta e
dei disturbi antisociali di personalità trova posto proprio la crudeltà
contro gli animali. Per esemplificare in modo estremo, basta ricordare che,
nella biografia di persone affette da disturbi della condotta, e, in un
crescendo di gravità e violenza, di psicopatici e di serial killer, è
tutt’altro che raro imbattersi in episodi ripetuti di violenza contro gli animali. Divenire
empatici significa sviluppare minore propensione all’aggressività, perché tra
empatia e violenza vi è un rapporto inversamente proporzionale, ma ci
vogliono anni per farla diventare una risposta spontanea così forte da
impedire di fare del male agli altri. Empatici si può diventare grazie
all’esposizione a modelli che siano collaborativi, solidali, compassionevoli,
e grazie ad una connotazione stigmatizzante, anziché sostenitrice,
dell’aggressività, Nella
nostra società, a dispetto di tante dichiarazioni di uguaglianza, è quanto
mai attuale una piramide gerarchica che vede alla propria base tante persone
deboli e umiliate, e un gradino ancora più sotto gli altri animali:
preoccuparsi di loro abbattendo le fittizie barriere di specie sulla scorta
della percezione di un comune destino che lega umani e non umani, percezione
che è parte integrante sia dell’identificazione con l’altro sia di un
atteggiamento di rispetto nei riguardi della natura in generale, significa
anche affrontare alle radici il problema della violenza. Questa violenza,
invece, i bambini imparano a legittimarla quando sono sollecitati a
divertirsi nel vedere animali resi indifesi, che vengono spaventati, derisi e
ridicolizzati, sulla base dell’unico principio in atto: il diritto del più
forte. Purtroppo
pare esistere scarsissima consapevolezza rispetto a tutto ciò: troppo spesso
non solo non vengono riconosciuti i diritti di cui gli animali sono in sé
stessi portatori, ma vengono del tutto sottostimate le conseguenze che le
crudeltà perpetrate a loro danno comportano nella costruzione di
atteggiamenti di sopraffazione, di violenza, di prevaricazione. In Italia
la legge ancora legittima e addirittura sovvenziona lautamente i circhi con
uso di animali, a differenza di quanto già avviene in altri paesi europei;
gli zoo sopravvivono; solo alcune città finora hanno deciso di rinunciare a
sfruttare animali nelle manifestazioni culturali, a fronte delle molte
retroguardie arroccate sulla difesa di una tradizione insensibile alla necessità
del rispetto dovuto ad ogni essere vivente. Poche: però ci sono. E la loro
stessa esistenza è la migliore prova che, anche in questo campo, il
cambiamento preme ed è possibile, oltre che doveroso. Di tale cambiamento,
richiesto a gran voce dalle istanze più sensibili della popolazione, i
legislatori non dovrebbero essere spettatori inerti, ma promotori, alla luce
delle riflessioni, delle osservazioni, delle conoscenze, che devono indurre a
ripensare dalle fondamenta il rapporto tra l’uomo e gli altri animali. Quegli
animali che Jim Mason, nel suo libro che non a caso si intitola “Un mondo sbagliato”, definisce
“l’anima e la commozione della natura”: è arrivato il momento di mettere in
discussione tutte quelle credenze, abitudini, tradizioni, che continuano a
sostenere il nostro modo di porci nei loro confronti in una posizione di
dominio. E finalmente, con le parole di Gino Ditadi (“I filosofi e gli animali”) “di prendere sul serio quei sogni in
cui è evocato un mondo conciliato: una rivisitazione del rapporto tra l’uomo
e l’animale diventa allora un appello all’intelligenza, alla memoria, al
sentimento”. |
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■ «Le Ragioni e le Emozioni del Rispetto per gli Animali:
nelle sagre, nei circhi, negli zoo» – di Annamaria Manzoni ▲ |
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«Documento, sostenuto da oltre 600
psicologi, sulle valenze antipedagogiche dell’uso degli animali nei circhi,
nelle sagre, negli zoo.» - Promotrice: Annamaria Manzoni === > |
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