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« IL FRUTTO DEL CEDRO CALABRESE NEL CULTO E NELLA
CULTURA EBRAICA » - di Salvatore Mongiardo - |
Blog: www.salvatoremongiardo.com |
IL FRUTTO DEL CEDRO CALABRESE NEL CULTO E NELLA CULTURA EBRAICA
(di Salvatore Mongiardo) Da qualche tempo mi ero posto il problema di come
l’Italia era vista e conosciuta nel mondo ebraico prima di Cristo. Questo mio
interesse era stimolato dall’aver letto in Giuseppe Flavio che gli Esseni
seguivano la dottrina insegnata ai greci da Pitagora che ebbe scuola a
Crotone. La recente affermazione di Benedetto XVI che Gesù seguiva la dottrina
essenica, fatto ormai condiviso da tutti gli studiosi, mi ha spinto a
esplorare meglio la conoscenza che gli ebrei avevano dell’Italia
nell’antichità. Ho ripreso così la storia del cedro calabrese, alla quale
avevo accennato già nel mio Viaggio a Gerusalemme del 2002. Il cedro della
Calabria è tenuto in grande considerazione dagli ebrei della corrente
Lubavitch, città della Bielorussia oggi Ucraina, dove nel Millesettecento
nacque il grande Movimento Chassidico dell’ebraismo, adesso seguito dagli ebrei
che portano barba, cappello nero e camicia bianca, e hanno il centro più
importante a Brooklyn, N.Y. Le notizie sul cedro calabrese si trovano nel
secondo volume del TANYA, opera filosofica del gran
rabbino Schneur Zalman di Liadi (1745-1812), e nel commento alla
Bibbia di Rashi, o Rabbi Shlomo Yitzhaqi (1040-1105), uno dei più famosi
commentatori medievali che visse in Francia intorno al Millecento. Come sappiamo dalla Genesi, Isacco sposò Rebecca ed
ebbe due gemelli, Esaù e Giacobbe. Esaù era il primogenito, ma la benedizione
fu data a Giacobbe. Isacco allora per riparare il torto, fece a Esaù una
grande promessa: Nel grasso della terra sarà il tuo luogo di
residenza. Il grasso della terra, o terra fertile perché
produce olio di oliva, era l’Italia della Grecia, come veniva
chiamata dagli ebrei l’Italia Meridionale o Magna Grecia. La tradizione riportata dal rabbino chassidico Y.Y.
Schneerson, vuole che quando Mosè era nel deserto con il popolo
fuggito dall’Egitto, ricevette da Dio l’ordine di celebrare la festa delle
Capanne o Sukot. Per quella festa era indispensabile il frutto del cedro che
Mosè ovviamente non poteva trovare nel deserto, e allora mandò dei messaggeri
su una nuvola a prenderlo in Calabria. Anche se non si hanno prove certe, è ragionevole
supporre che già ai tempi degli antichi romani il cedro fosse preso in
Calabria. Sicuramente negli ultimi 250 anni gli ebrei Lubavitch l’hanno
cercato a Santa Maria del Cedro e a Marcellina, in provincia di Cosenza.
Questo è avvenuto anche durante la prima e la seconda guerra mondiale,
nonostante tutti gli sconvolgimenti. Nella festa
delle Capanne si usano per la benedizione: 1.
il frutto del cedro
che ha gusto e profumo 2.
la palma da dattero
che ha gusto ma non profumo 3.
il mirto che non ha
gusto ma ha profumo 4.
il salice che non ha
né gusto né profumo. Il gusto simboleggia lo studio della Torà, i primi
cinque libri della Bibbia conosciuti anche come Pentateuco; il profumo è
l’osservanza dei Mitzvot o Comandamenti. Le quattro piante assieme
simboleggiano l’unità del popolo ebraico di cui ogni membro è membro vitale. Il cedro è un frutto definito haddar, splendido,
parola che significa anche risiedere. Secondo gli ebrei
l’albero del cedro non era facile da crescere perché le radici vanno in
orizzontale e con il caldo, l’albero poteva morire. Allora bisognava mettere
della terra facendo una montagnetta attorno al fusto. Il limone invece ha
radici che vanno in profondità per cui era facile la tentazione di innestare
il cedro su un limone, ma allora la purezza originaria del cedro non era
totale e il frutto non era più kosher, puro, come si è mantenuto
sempre quello calabrese. Il cedro che
si sceglie per la festa non deve essere molto grande, perché i frutti grandi
non sono quasi mai perfetti: hanno qualche macchia o puntino nero. Dopo la
festa oggi il frutto non è mangiato, e qualcuno ne fa marmellata. Nel Midrash,
il commento rabbinico
alla Bibbia che mette in luce gli insegnamenti giuridici e morali utilizzando
diversi generi letterari come racconti, parabole e leggende, l’albero
della conoscenza dell’Eden non era il melo, ma proprio il cedro.
Quest’unicità del cedro viene confermata dal fatto che è l’unico albero che
ha lo stesso gusto sia nel legno della pianta che nel frutto. C’è anche da
notare che in ebraico Italia significa terra della rugiada, quindi non solo
terra grassa ma anche irrorata d’acqua: un sogno per gente che vagava nel
deserto. Ringrazio per
queste informazioni, qui riportate in forma necessariamente semplificata, il
rabbino Michail Elmalèh di Milano. Salvatore Mongiardo (2010) |
■
«IL FRUTTO DEL CEDRO CALABRESE NEL
CULTO E NELLA CULTURA EBRAICA», di Salvatore
Mongiardo
Rif.: Salvatore Mongiardo /
Cell +39 348 78 20 212 / www.salvatoremongiardo.com
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